UN SOLO TIPO DI INTEGRAZIONE

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    vividarte

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    Da qualche galassia lontana...nato a Foligno ma residente a Genova, da sempre interessato alle arti, alla condizione umana ed alla spiritualità

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    Esigere Diritti umani da tutti, da noi per primi

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    nel mio libro linee guida opportune


    È innegabile che l'argomento integrazione sia assai caldo, anche perché evoca un antico sciovinismo nazionalista autoritario, su cui soffiano politici populisti che hanno sempre in bocca "ordine e giustizia".

    D'altra parte i ragionamenti dei cosiddetti "moderati" spesso non riescono ad andare oltre il "politicamente corretto" che riesce solo a lasciare il problema immutato, destinato perciò a peggiorare.

    Hanno certamente argomenti migliori, ma non sufficienti a concepire una strada convincente e alternativa all'intolleranza populista.

    Il Corriere della Sera del 2 dicembre scorso ospita ben due firme sull'argomento.

    Antonio Polito intitola il suo articolo "Se abbiamo paura di dire chi siamo".

    Inizia riferendosi a ciò che il giorno prima raccontavano Cremonesi e Gergolet, chiamati da un istituto tecnico a parlare dell'Isis.
    I due lamentavano l'incomunicabilità fra il nostro mondo e quello musulmano: sembra che gli studenti musulmani rifiutassero di discutere "qualsiasi verità sull'Islam che non fosse contenuta nel Corano", mentre gli altri "tacevano segregandosi a loro volta, magari perché ignari di ciò che è scritto nel Corano, ma forse perché dubbiosi su che cosa sia la verità".

    Credo che qualsiasi esponente politico o culturale occidentale che tenti di fare ragionamenti sulla "verità" in materia di confronti fra religioni o un'analisi di estremismi religiosi, faccia un inutile buco nell'acqua.

    Inutile perché tenta di portare dispute e analisi che appartengono alla filosofia e alla storia delle religioni, su un piano "sociologico" improprio e fuorviante.

    Una politica attenta ai Diritti Umani dovrebbe favorire la conoscenza dei principi di convivenza civili, e non invadere un terreno che non gli appartiene.

    Ogni cittadino di un paese occidentale laico, indipendentemente da quale etnia e religione appartenga, dovrebbe essere messo in condizione di conoscere questi principi e dovrebbe autonomamente sviluppare una sua "sintesi" fra ciò che crede spiritualmente e ciò che è richiesto civilmente.

    Una sintesi che dovrà permettergli di vivere nella nuova comunità, o di diventarne cittadino più consapevole e responsabile se già appartenente ad essa.

    Occorre dire chiaramente che se non ne sarà capace e rifiuterà di accettare i principi di convivenza della comunità dovrebbe andarsene prima di radicarsi sul territorio, se rifugiato, o dovrebbe essere sottoposto alla legge nel momento in cui violasse i basilari principi di convivenza, se appartenente alla comunità per nascita o cittadinanza.

    Mi lascia molto perplesso la seguente riflessione del Polito: "Pensavamo che la storia stesse marciando in direzione della secolarizzazione, invece la modernità ci si presenta densa di un senso religioso che non siamo più in grado di comprendere. Abbiamo paura di affermare che questa è una guerra di religione...".

    Questo pensiero evidenzia, almeno secondo me, due tipi di problemi.

    Il primo sembra essere quello di un'impostazione laicista, non laica, che reputa in qualche modo superata e antiquata qualsiasi cosa abbia a che fare con la religione.

    Il secondo appare figlio del primo, in quanto parla di guerra di religione, quasi ignorasse o non vedesse come le religioni sono usate in maniera pretestuosa per fini di potere e controllo di territori e risorse.

    Non penso che il Polito sia uno di quei massimalisti atei che attribuiscono alle religioni tutti i problemi dell'umanità, come se la filosofia, la politica e la stessa scienza non fossero mai state usate per manovre anche devastanti e per fini di potere e controllo.
    Non lo penso ma le sue parole possono lasciare ad intendere ciò.

    Polito continua attaccando le élite culturali “che cercano goffamente dentro la nostra civiltà qualche buona ragione per cui ci sparano addosso.

    E del terrorismo islamista danno la colpa all'Occidente, al capitalismo, alla società dei consumi, all'ineguaglianza, alle bidonville, alla povertà (come se chi lotta per l’esistenza avesse tempo per uccidere e morire)”.

    Con queste considerazioni si accoda a tutti quei “sobri” difensori dello status quo.

    Come si può negare che le contraddizioni dell’Occidente, tutte derivanti da violazioni dei Diritti Umani, non facciano parte dell’equazione?

    L’estremismo fondamentalista addita le contraddizioni e le aberrazioni della nostra civiltà e li usa per lavare il cervello di chi non ha abbastanza forza e cultura per pensare con la propria testa.

    Come si può negare che le centinaia di migliaia di morti sotto le bombe Occidentali non siano parte del problema?

    Gli appelli che fa successivamente al dialogo fra comunità che dovrebbero conoscersi meglio sono condivisibili, come è condivisibile il timore per i movimenti xenofobi europei su cui mette in guardia, ma non credo che i problemi si risolveranno se continuiamo a spingere solo sul dialogo senza correggere le nostre storture.

    Anche l’altro intervento di Antonio Macaluso dal titolo "Né crociate né buonismi, sulla strada difficile di una vera integrazione", insieme a cose condivisibili mostra per me dei punti deboli.

    Inizio con ciò che condivido del suo ragionamento: "Così come le democrazie non si possono esportare – la storia recente delle primavere arabe militarmente sostenute dall'Occidente ce l'ha insegnato (a nostre spese) – anche i modelli di vita non sono fungibili, sovrapponibili. E ci sono comunque pilastri fondamentali – diritti, libertà, semplici consuetudini – oltre i quali si decide, prede della paura, di svendere a pezzi quello che i tagliagole dell'Isis vorrebbero prendersi in un colpo solo a suon di bombe. Non sarà certamente con le armi, ma neanche con un buonismo tremebondo e a senso unico che si riuscirà, nel tempo, a costruire una convivenza integrata".

    Concordo certo, tranne far rientrare le "consuetudini" nell'equazione, come se non bastassero i diritti e le libertà a cui le accompagna a garantire ogni consuetudine che non leda le libertà altrui.

    Infatti, parlando dell’integrazione afferma: "Una parola che può voler dire molte cose belle e buone ma può contenere il germe della sconfitta dei propri valori. I casi di crocifissi rimossi e feste religiose vissute con la sordina, di accondiscendenze pelose, di silenzi che sono il prezzo pagato in anticipo a possibili accuse di razzismo, sono in fondo almeno una parte di quella integrazione di cui tanto si parla".

    E’ ora di dire le cose come stanno e portare un po’ di razionalità su questioni su cui poi la politica e i media portano ancora più caos e confusione, mettendo appunto l’accento sulle "consuetudini", per far scalpore, e meno sui diritti.

    Siamo o no uno stato laico?

    Se sì, cosa ci fanno i crocifissi nelle scuole?

    Oppure in alternativa, perché non mettere i simboli religiosi di tutte le etnie e culture presenti in ogni classe?

    Perché non invitare ad uscire dalla scuola e dal paese chi si sentirebbe "offeso" dai simboli e dalle manifestazioni religiose di altri, a cui certo non deve essere costretto a partecipare?

    Inoltre, agli italiani che dimenticano valori costituzionali e Diritti Umani vogliamo dire qualcosa?

    Fomentare odio xenofobo, razzismo e intolleranza non è un reato contro quei principi che sono l’anima della nostra cultura che si pretende evoluta?

    Altro punto debole delle argomentazioni del Macaluso, rispetto un’ottica di civiltà, l’abbiamo in questa frase: "…integrazione non può essere sinonimo di resa. Le trattative si fanno in due e, pur volendo marginalizzare le ali estreme, gli accordi non possono non basarsi sul principio della reciprocità di intenti. Quando tutte le sere, in qualunque talkshow, ascoltiamo musulmani che si lamentano per le difficoltà di avere luoghi di culto più adatti, grandi e confortevoli, dobbiamo ricordarci di quanto sia difficile essere cristiani nei Paesi a maggioranza islamica".

    Con questi argomenti vogliamo disinnescare il problemi e favorire una società più pacificata?

    Cosa dovremmo fare?

    Impedire di avere luoghi di culto perché nei loro Paesi le altre confessioni non sono libere?

    Siamo ancora a questo occhio per occhio?

    Non stiamo trattando con uno Stato, stiamo parlando di cittadini che hanno un'altra religione a cui la Costituzione garantisce pari dignità!

    Certo è che lo Stato non dovrebbe finanziare niente, se una comunità vuole una chiesa o moschea più bella se la costruisca con le sue donazioni, come dovrebbero fare tutte le religioni negli stati liberi e civili.

    Un terzo articolo a firma Goffredo Buccini sempre sul Corriere della Sera ma del 19 febbraio, dal titolo "Una carta dei valori con l’Islam per combattere l’integralismo", affronta la questione in maniera più corretta.

    Inizia subito alla grande: "L'Islam italiano diventa una sfida sempre più difficile da eludere per un governo riformista. L'azzardo di tenere un milione e seicentomila fedeli in gran parte confinati a pregare dentro garage e cantine, spesso guidati da imam fai-da-te con sermoni in arabo fuori controllo; il paradosso della seconda religione praticata nel Paese che tuttavia, a differenza di altri culti, non trova ancora un'intesa con lo Stato; la piaga (documentata dal Corriere) di migliaia di studentesse d’origine islamica che vivono accanto a noi e che – a differenza dei coetanei maschi – vengono ritirate dalla scuola alla soglia dell’adolescenza perché vittime di un pregiudizio di genere ancora molto pesante nelle loro famiglie; in generale la zona d'ombra che tuttora lambisce tanti nostri connazionali di fede musulmana: tutti questi sono elementi di un teorema che va affrontato e risolto non per astratto buonismo ma per una assai pragmatica volontà di garantire una migliore coesistenza tra cittadini di religioni e culture diverse, sterilizzando diffidenze che alla lunga trasformerebbero i nostri quartieri e le nostre periferie in laboratori di rancore non dissimili dalle banlieue francesi".

    Perfetto.
    Buccini prosegue facendo una breve storia del tentativo coordinato dal giurista Carlo Cardia per il governo Amato tra il 2006 e il 2008, che condusse alla creazione di una Carta dei valori e di accordi che avrebbero portato "…all'emersione delle moschee, in cambio di una esplicita adesione a elementi costitutivi della nostra cultura e del nostro patrimonio identitario come libertà, tolleranza, uguaglianza uomo-donna".

    Il problema risiede anche nel fatto che la comunità islamica ha molte anime riluttanti a federarsi e presentarsi unite, ma il Buccini vede segnali positivi in tal senso perché "…la recente stagione del terrorismo ha indotto molti leader delle comunità a un riposizionamento più esplicito. E il cambiamento più visibile forse sta proprio nella leadership dell'Ucoii, oggi affidata al giovane Izzedin Elzir, che si è distanziato da derive fondamentaliste e manifesta attenzione alle storture derivate dalle discriminazioni di genere (sia pure attribuendole a sottocultura e non a tradizionalismo religioso)".

    Concordo anche con i seguenti auspici: "…l’Italia può – e deve – trovare con i suoi cittadini musulmani una strada originale, diversa dal disastroso multiculturalismo inglese e dall'asfittico assimilazionismo francese. E’ la strada di un patto che comporti l'emersione dagli scantinati e (la Lega se ne faccia una ragione) la nascita (persino) di moschee di quartiere: dove però si predichi in italiano e gli imam seguano un percorso chiaro e verificabile. Dignità in cambio di regole, senza sconti".

    Anche sulla questione riguardante argomenti religiosi il Buccini ha una visione corretta: "Non tocca ai riformisti e ai laici italiani chiedere ai cittadini musulmani una rilettura critica del Corano: un'autoriforma che, se mai verrà, dovrà avere tempi e modi che naturalmente sono nelle mani dei musulmani medesimi. Ma incentivare la lettura consapevole della nostra Costituzione, esigendo la sincera adesione a ogni suo articolo, sì, questo si può fare già domani".

    E' ora che la politica lasci da parte e combatta estremismi e pulsioni populiste che non hanno niente a che vedere con la civiltà, e che richieda un attivo e responsabile rispetto della Costituzione e dei Diritti Umani a sé stessa ed a tutte le componenti della società civile.

    Dobbiamo perciò dire basta ai morti in mare, basta alle condizioni degradanti dei centri di accoglienza, basta con il lasciare i profughi senza supervisione, documenti, percorsi di studio-lavoro-scambio con la comunità che li aiuta, ma anche basta ad accordi, alleanze, commerci, traffici di armi e di altro tipo con gli stessi Paesi che si vorrebbero combattere per "democratizzare".

    Dobbiamo capire che il caos è finanziato dalle lobby che ne traggono guadagno (militari, industriali, energetiche), fomentato da politici e media controllati dalle stesse lobby, e propagato capillarmente da quei cittadini che per indole, ignoranza o "tornaconto" si fanno portavoce di aridi, beceri e collerici slogan intolleranti.

    Una civiltà di pace e progresso ispirata ai Diritti Umani necessita di responsabilità, da parte di tutti noi.


    27 febbraio 2016


    Edited by massimofranceschini - 18/1/2019, 11:14
     
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