Posts written by massimofranceschini

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    Tutti sono chiamati alla consapevolezza, chi ha sofferto ieri, chi causa sofferenze oggi

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    fonte immagine: Flikr


    Articolo pubblicato anche su ATTIVISMO.INFO


    Dal 2005 ogni 27 gennaio, il giorno in cui le truppe dell’Armata Rossa liberarono Auschwitz, si ricorda il Giorno della Memoria e si commemorano le vittime dell’Olocausto: una tragedia assurda e disumana che non dovrebbe trovare la più velata giustificazione.

    Diversa nell’orrore dalla bomba atomica, parimenti devastante eticamente e spiritualmente.

    L’atomica indirizza la distruzione verso un “nemico” indiscriminato, l’Olocausto attua una distruzione selettiva, ancorché di massa.

    Il più alto numero di morti nei vari campi comunisti sono un orrore parimenti devastante, che include in parte le caratteristiche degli altri due, con in più l’immensa tragedia dell’ipocrita giustificazione classista, della pretesa di ricondizionare la mente dei “nemici del popolo”.

    Comunque, dei 15 -17 milioni di vittime dell’Olocausto si stima che circa 5 – 6 milioni furono di ebrei. Altri affermano fossero meno, ma non sono certo le cifre, quanto il disegno, a dare il volto all'abominio.

    Gli ebrei, un popolo certamente sfortunato: da una parte vittima di un ingiustificabile antisemitismo, dall’altra genesi del movimento sionista, molto utile alle mire coloniali anglo-americane.

    Il sionismo è, di fatto, una delle principali fonti di pericolo per la pace mondiale, oltre che di ingiustizia verso le terre del Medio Oriente e delle popolazioni palestinesi.

    A queste sfortune degli ebrei dobbiamo aggiungere quella di avere al loro interno alcune delle dinastie, Rothschild su tutte, più odiate della storia recente.

    Queste sfortune hanno perciò delle ben precise cause storiche, come rileva Pietro Ratto, filosofo, scrittore e giornalista, nell’introduzione del suo bellissimo “I ROTHSCHILD E GLI ALTRI. Dal governo del mondo all’indebitamento delle nazioni: i segreti delle famiglie più potenti”, Arianna editrice.

    Vediamo alcuni passaggi dall’introduzione, assemblati in una sintesi che spiega bene tale sfortuna:

    “[…] il presente libro intende dimostrare come i Rothschild, e le altre dinastie con cui essi si sono via via imparentati, abbiano esercitato un’influenza enorme sulla storia del nostro pianeta, quanto meno dalla fine del Settecento a oggi. Sono proprio i Rothschild ad aver imparato la lezione dei banchieri Fugger, ad aver capito quanto frutti costringere al debito sovrani e imperatori, quanto sia garantito un credito nei confronti di chi detiene la forza di rivalersi facilmente dall’imposizione fiscale con cui tartassare il proprio popolo al fine di restituire il dovuto. […] una ricerca piuttosto difficile […] spiega molte cose sul famigerato debito pubblico, diventato ormai un’ossessione per milioni e milioni di persone […] Famiglie in gran parte ebree […] avevano beneficiato del divieto sancito dai Papi medievali di lucrare sul prestito di denaro; un’attività, questa, considerata peccaminosa […] Così, ciò che non era permesso ai cristiani era diventato appannaggio degli ebrei, i quali avevano accumulato ricchezze proprio con quell’usura che, alla lunga, aveva contribuito al diffondersi di un odio nuovo, sommatosi a quello vecchio, tutto cristiano, nato dall’essersi resi responsabili della ‘morte di Dio’”.

    Non c’è che dire, un terribile mix di eventi e circostanze hanno fatto del popolo ebraico il capro espiatorio “perfetto” da sacrificare, inizialmente per criminali “ragioni” di potere, di controllo politico-religioso, poi per criminali pulsioni, sempre di potere, esercitate con la forza, sostenute con la squallida retorica “necessaria” a fornire il “nemico” a un popolo stremato dalla storia e dalla finanza.

    Pulsioni e retorica, evidentemente, ancora buone per quelli che non riescono a emettere un verbo che non sia rabbioso, a formulare un pensiero che non sia criminale, becero, evidentemente indegno della prerogativa di ragionare e distinguere.

    Chi mi legge sa che mi scaglio spesso contro il “sistema” formato da poche famiglie e logge private che in buona sostanza guidano l’Occidente tramite la finanza, le banche, le corporazioni globali, i media e la corruzione della politica.

    Però, pur criticando il sistema non ricorro mai alla questione etnica di tali famiglie, non mi spingo mai nel circostanziare la loro provenienza storica: questo perché risulterebbe profondamente ingiusto, un vero e proprio crimine verso la stragrande maggioranza della stessa etnia.

    Anche se penso che il popolo ebraico abbia la responsabilità politica di capire alcuni fatti della sua storia, la complessa origine dei suoi mali e di mettere in atto tutti i cambiamenti politici necessari alla pacificazione mondiale, non sento mai la “necessità” di attaccarlo come popolo.

    Mi appello solo ai diritti dell’uomo come faro di civiltà e di azione politica, quella guida insostituibile che dovrebbe essere tale per ogni popolo, nazione ed etnia nella ricerca del proprio spazio nel mondo.

    Il mio invito per il giorno della Shoah è quello di capire, rivolto a tutti: a quelli che hanno subito, a quelli che dalla sofferenza traggono motivo di altre ingiustizie, a quelli che non vedono il marchio indelebile stampato dalla Shoah, a quelli che sono nella posizione di essere più responsabili di altri, in ogni Paese, in ogni fronte: hanno la responsabilità della verità e della giustizia, ora, subito, prima che sia troppo tardi.

    Il nuovo giorno non dovrà respirare il fetido fumo del peccato supremo, o la fredda luce dell’ultimo missile scagliato sulle macerie dell’uomo.




    26 gennaio 2019

    Edited by massimofranceschini - 26/1/2021, 16:13
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    https://www.massimofranceschiniblog.it/202...iritti-sociali/

    Edited by massimofranceschini - 10/1/2024, 09:20
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    Adam McKay supera anche il suo ottimo “La Grande Scommessa”

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    Dick Cheney in Iraq: fonte immagine Wikipedia


    Articolo pubblicato anche su ATTIVISMO.INFO


    La più che verosimile storia politica del vicepresidente di Bush Jr, Dick Cheney, e di sua moglie, sono magistralmente rappresentati nel film Vice, l’Uomo nell’Ombra, che vede ricomporsi la fantastica coppia, Christian BaleAmy Adams, che avevamo già avuto modo di apprezzare insieme al grande cast del bellissimo American Hustle, di David O. Russell.

    Il regista McKay perfeziona lo stile mostrato ne La Grande Scommessa con una sceneggiatura questa volta tutta sua, che tiene lo spettatore incollato per le oltre due ore: una sceneggiatura fatta di salti, deviazioni e ritorni, che riesce però a comporre un puzzle in cui il messaggio del film è sempre chiaro.

    Lo stile moderno di racconto frammentato, frenetico e, per così dire, “sovrapposto”, non trova realizzazioni sempre felici: gli autori a volte sembrano giocare troppo con lo spettatore, anche in presenza di soggetti nient’affatto poveri.

    Ciò non accade in questo film, anzi reso piacevolmente vivo dall’uso sapiente di questa forma narrativa, che rende certamente più “digeribile” il tema politico denso e pesante, rispetto ad una narrazione più classica e lineare.

    Sembra stia parlando di un film d’azione e, in effetti, così è: un’azione che però è distribuita oltre che su diversi livelli narrativi temporali e sulle vicende storiche “oggettive”, sui piani più “intimi” dei protagonisti dei quali ovviamente abbiamo meno riferimenti certi, suggeriti però in modo assai convincente dal soggetto e dalla grande interpretazione dei protagonisti, con in testa un Bale da Oscar che per l’occasione ingrassa ben oltre i 20 chili in più richiesti in American Hustle.

    Non è solo la “performance obesa” da segnalare, che certamente contribuisce a rendere convincente il personaggio insieme al comunque grande trucco: la sua recitazione “compresa” ci mostra un felpato “carro armato” che, dopo le vicissitudini contraddittorie della gioventù, riesce ad imparare osservando, in silenzio, per ottenere grandi obiettivi personali e politici con una “scaltrezza silente” ma, proprio per questo, difficilmente contrastabile.

    Il film ci mostra il livello raggiunto dal vice presidente e dai complici collaboratori, a volte inizialmente riluttanti, più spesso felicemente sorpresi quando non addirittura suggeritori, su come si possano impunemente forzare consuetudini e norme democratiche.

    L’autore non ci nasconde la violenza che deriva dalle scelte dissennate della politica, anche di legislature precedenti, violenza che si dipana sia a livello politico interno, sia militare, internazionale, umano, personale.

    Violenza che è, soprattutto, quella di una “democrazia” lontana dal controllo della società civile, che viola impunemente leggi scritte e non, che trova un sistema politico-mediatico non preparato, inerme, complice e, quando va bene, tardivo nel prendere contromisure comunque del tutto inadeguate ai reati commessi, alle violazioni deontologiche, agli orrori provocati in giro per il mondo.

    La crisi di una democrazia “distratta”, al servizio di corporazioni e logge private, già espressa dall’autore guardando dal binocolo della finanza ne La Grande Scommessa, trova qui una feroce conferma politica.

    Anche in Italia avremmo bisogno di un autore del genere, per mostrarci la distanza ideale della narrazione europea “di sistema”, rispetto ai veri risultati determinati dagli interessi finanziari e lobbistici più o meno occulti che condizionano la nostra democrazia, altrettanto morente di quella USA.




    10 gennaio 2019


    Edited by massimofranceschini - 18/2/2020, 17:51
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    Qualsiasi politica non preveda il ripristino delle Sovranità Popolari nazionali per questi tre ambiti si pone automaticamente al servizio del sistema lobbistico privato


    fonte immagine: Picryl

    Articolo pubblicato anche su ATTIVISMO.INFO che lo ospita.


    La realtà del sistema politico occidentale si sostanzia dall’incompiutezza dei suoi ideali: quei diritti umani e quella democrazia partecipata e trasparente che avrebbero dovuto fare dell’Occidente l’avanguardia di un mondo sulla via del progresso e della pace sono ormai formule che restano sempre più sulla carta, sulla bocca di vuote e retoriche celebrazioni, su libri di testo sempre più mal studiati e interpretati in una scuola pubblica appositamente trascurata, svilita e tecnicizzata a suon di test uniformanti.

    La “democrazia reale” del sistema politico occidentale vede un arretramento dello Stato di diritto, che avrebbe dovuto rappresentare e proteggere le società civili degli Stati sovrani.

    Questo arretramento è causato dalla non attuazione dei principi democratici e universali: la politica è stata infiltrata e soggiogata agli interessi di logge ed organismi privati transnazionali, che riescono a mettere nelle istituzioni personaggi politici compiacenti, od a condizionarne l’operato una volta arrivati nei parlamenti.

    La grandezza degli organismi politici, come gli Stati Uniti, l’Unione Europea ed a maggior ragione quegli USE verso cui tutto in Europa sta convergendo, mostrano un’evidente “distanza democratica” fra i vertici ed i popoli, con sempre minori possibilità per le società civili di poter dire qualcosa.

    Le consultazioni elettorali sono solo apparentemente democratiche: la “scelta” elettorale è già ristretta nei percorsi di formazione delle rappresentanze, svilita da sistemi non veramente rappresentativi perché non proporzionali, ulteriormente negata da campagne elettorali in cui i maggiori spazi sono riservati alle formazioni politiche esistenti, senza una vera giustificazione democratica a non mettere ogni partito, vecchio e nuovo, nelle stesse condizioni di visibilità.

    In Italia il Movimento 5 Stelle si fa portatore della misura populista di diminuzione dei parlamentari, con la puerile scusa di un risparmio sulle spese dello Stato.

    Ciò che non si dice è che, con tutta evidenza, meno parlamentari ci sono più sarà facile il condizionamento del loro operato da parte delle segreterie dei partiti, ora in mano alle logge suddette.

    Non si dice, inoltre, che il risparmio sarebbe irrisorio in termini nazionali e che, soprattutto, uno Stato sovrano non dovrebbe avere limiti di spesa onde poter attuare i principi della sua costituzione, se non quelli determinati da una sana gestione dei vari parametri economici interni ed esterni, che però mai dovrebbe ammettere l’impoverimento e la schiavitù del suo popolo.

    L’economia e la finanza devono essere al servizio della politica: oggi accade l’esatto contrario, con le economie delle nazioni in mano alla finanza privata.

    Il controllo dell’emissione di una moneta sovrana, senza la quale uno Stato non è veramente sovrano perché sostanzialmente “occupato” dalle banche private, è la prima condizione che potrebbe rendere una democrazia veramente tale.

    I media e la politica non ci dicono quella che è la sostanziale realtà: le società civili e produttive delle nazioni stanno perdendo una guerra contro la finanza, che ormai “fattura” molto più della produzione reale di beni e servizi.

    Una guerra non dichiarata perché non necessita di carri armati, sostituiti dalle filiali di banche che creano denaro dal nulla e indebitano “legalmente” gli Stati non più sovrani che non possono più stamparsi la loro moneta.

    Il tutto rivenduto come necessario per essere “competitivi” nel mondo globalizzato: l’unico richiamo implicito, ma non dichiarato, ad una guerra che però sarebbe fra blocchi ed aree di influenza globali, guerra che giustificherebbe la demolizione delle sovranità dei “troppo piccoli” Stati nazionali.

    Abbiamo quindi, in buona sostanza, due guerre: quella della finanza contro le sane economie produttive e quella multipolare fra blocchi, a cui si vorrebbe aggiungere gli USE per aiutare gli USA nella guerra globale.

    Oltre che essere profondamente antidemocratico e contrario ad ogni ideale, questo disegno ci esporrà, ulteriormente, a gravi pericoli geo-strategici.

    Quanto sinora illustrato è sostenuto con una squallida retorica dal “pensiero unico” veicolato dai media principali e dagli esperti invitati nei dibattiti e negli ormai perenni tg, un sistema che riesce ad annullare e annichilire anche le poche voci dissenzienti ammesse, inglobandole nel gioco perverso della politica-spettacolo.

    Insieme al denaro ed al sistema dei media, abbiamo il terzo settore su cui la politica ha ormai perso quasi ogni tipo di controllo: quello tecnologico.

    È la tecnologia che rende possibile a livello globale quanto finora denunciato.

    La tecnologia che si fa idolo consumistico al quale ogni altro interesse si deve prostrare, mezzo di controllo privato, sempre più globale, unico “universo” in cui convogliare ogni altro sapere, ogni aspirazione umana, ogni prassi di ricerca, di “cura”, ogni intervento in qualsiasi campo, ogni speranza di soddisfacimento di desideri, di ricerca, anche di pace: la tecnologia ci darà la pace, se riuscirà ad evitare la guerra totale e/o la distruzione dell’ecosistema, ma una pace che sarà appiattimento, uniformazione, identificazione, pensiero unico, coscienza e identità predeterminate: un’umanità assai diversa da quella attuale trasformata in qualcosa di ibrido, in pensiero assoggettato ad un’idea di “evoluzione” che determinerà la rottura del libero pensiero.

    Denaro, media, tecnologia sono quindi i tre fronti su cui costruire una quanto mai necessaria politica che rinnovi la democrazia ed attui, finalmente, quei diritti umani che ne sono l’anima etica.

    Qualsiasi formazione politica eviti di parlare di questi argomenti e non li affronti con un profondo lavoro culturale e di informazione, si presta alla continuazione del sistema privatistico vigente.

    Va denunciata con la consapevolezza che si può ottenere solo risolvendo le nostre idiosincrasie ideologiche per capire che siamo tutti nella stessa barca: sta affondando velocemente, sulle onde di un sistema pazzo e criminale in mano a pochi soggetti privati che riescono a condizionare potentemente le nostre vite e la nostra “realtà”.

    Solo degli Stati liberi e sovrani ispirati ai diritti umani, espressioni trasparenti di società civili consapevoli e mature, potranno raggiungere accordi bilaterali, multilaterali e globali tali da non far rimpiangere quel “progresso” scriteriato che oggi sta distruggendo il nostro habitat, fisico e mentale.




    17 dicembre 2018
    qui il mio libro, un programma politico ispirato ai diritti umani


    Edited by massimofranceschini - 3/1/2020, 18:30
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    Un’opera piena di ricchezze, integrità, ribellione e senso civile


    fonte immagine: Vimeo

    Articolo pubblicato anche su ATTIVISMO.INFO.


    Benedikt Erlingsson, con “La Donna Elettrica”, confeziona un’opera deliziosa, una boccata d’aria fresca, non solo per l‘ambientazione islandese.

    L’informazione cinematografica in Italia è, come accade per molti campi, assai americanocentrica, e non ci permette di conoscere a fondo personaggi importanti come questo regista alla sua seconda opera.

    Erlingsson è anche attore teatrale e autore, ha lavorato per la tv ed al cinema era fra il cast dell’altrettanto strepitoso “Il grande capo” di Von Trier.

    A livello cinematografico non siamo dalle parti del “dogma”, cioè della totale negazione degli “arnesi” ed “artifizi” di montaggio, effetti speciali, musica fuori scena e quant’altro, con cui si eccede nel cinema più commerciale, quanto ad un loro sapiente uso assolutamente finalizzato al messaggio ed allo stile desiderato.

    Apprezzo sempre un regista che riesce in modo intelligente a trasmettere una grande “sostanza” con un tocco leggero e adatto anche al grande pubblico, senza cedere di un millimetro sul fronte dei contenuti e, addirittura, con un di più di “poetica” come accade in questo caso.

    Forse l’aver calcato e saggiato i vari fronti del mestiere, tutte le sue prospettive, ha aiutato l’autore a sviluppare l’equilibrio raggiunto in quest’opera.

    Senza raccontare molto, odio le recensioni che svelano quasi tutto, diciamo che il tema principale del film è la difesa dell’ecologia, che diventa necessariamente lotta alle multinazionali, presa di coscienza e assunzione di responsabilità da parte di persone vicine alla grande protagonista, implicita critica al sistema dell’informazione che in tutta evidenza “circuisce” il sentire del pubblico, esposizione di valori legati alla terra e alle tradizioni in contrapposizione alla modernità e alle costruzioni industriali, visione del futuro di controllo su cui siamo già avviati di gran carriera anche in un’Islanda che forse immaginiamo più a misura d’uomo di quanto in effetti è.

    Il tutto impreziosito da musiche per niente banali, anche dalla metrica particolare, suonate live dai musicisti che le hanno composte ed usati dal regista come surreali comparse.

    Il film ci fa ben vedere come non siamo più consapevoli dell’arroganza di un sistema che sta pesantemente condizionando il nostro futuro e il nostro sentire, la stessa “arroganza”, a ben vedere, dell’industria cinematografica made in USA che per questo come per altri casi, ritiene di “dover” dare la sua versione dell’opera con la stella Jodie Foster.

    Invece di creare una grande scuola di doppiaggio, come quella italiana, ricostruiranno il prodotto ad uso e consumo della loro industria, arma senza bombe di conquista planetaria.

    Ennesimo esempio di un mondo indirizzato nei binari delle corporation, ma economicamente al collasso per i più e lanciato verso il naufragio ambientale: il doloroso grido con cui ci lascia questo grande film.




    15 dicembre 2018


    Edited by massimofranceschini - 3/1/2020, 19:35
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    Poco da celebrare, tanto ancora da comprendere e costruire

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    il mio libro, un programma politico ispirato ai Diritti Umani

    Articolo pubblicato anche su ATTIVISMO.INFO che lo ospita.



    Il 10 dicembre del 1948, il mondo intero, ancora squassato dall’ultima Guerra Mondiale e dall’orrore atomico, vedeva l’approvazione con 58 voti a favore e nessun contrario della Dichiarazione Universale dei diritti dell’uomo, ultima ed estrema sintesi di un percorso di dignità e libertà dalle sopraffazioni.

    Un percorso partito da molto lontano – Cilindro di Ciro, 539 a.C. – poneva le sue tappe più recenti nella “Bill of Rights” britannica del 1689, nella Dichiarazione d’Indipendenza degli Stati Uniti d’America del 1776, che ispirò la Dichiarazione dei diritti dell’uomo e del cittadino del 1789, stesa durante la Rivoluzione Francese.

    La nostra splendida Costituzione, di pochi mesi prima, già inglobava i “diritti universali” all’Art. 2 e se ne faceva responsabilmente carico lungo tutto il suo testo.

    Lungi da me l’intenzione di un’ipocrita retorica dei diritti umani, alla pari di quelle che saranno certamente verbalizzate dai vertici istituzionali del “mondo globalizzato”.

    C’è in effetti ben poco da celebrare, tanto ancora da comprendere per costruire una vera civiltà dei diritti umani.

    Andiamo con ordine.

    Credo che nessuna analisi storica, o concezione politica, possa prescindere dalla conoscenza dell’uomo in quanto tale, dalle sue peculiarità e prerogative, dai suoi, se così possiamo dire, “parametri funzionali”.

    Personalità, passioni ed emozioni caratterizzano e diversificano ogni uomo dall’altro, guidano la sua logica e razionalità, o la loro “scarsezza”, il suo modo di vedere la vita e rapportarsi al proprio simile.

    Anche se una persona molto “razionale” può abbandonarsi temporaneamente ad emozioni e comportamenti per lei inusuali o, viceversa, una persona apparentemente “emotiva” può sorprendere per la sua logica, agiamo di norma entro un “tracciato” segnato dal nostro essere e sentire fondamentali.

    Più in generale, possiamo osservare e delineare, e c’è chi l’ha fatto ampiamente in ambito filosofico, religioso e psicologico, una “scala” delle emozioni e delle conseguenti attività umane in cui mettere ai suoi apici quanto di più bello, positivo e creativo possa esprimere l’essere umano, per scendere progressivamente, con molte posizioni intermedie, verso l’abisso delle peggiori azioni che possiamo immaginare.

    Il cambiamento personale è certamente possibile, al contrario di quanto ritenuto un tempo dalla psicologia più “materialista” e deterministica, cambiamento che però passa, necessariamente, per un percorso di crescita e consapevolezza interiore/spirituale, od il suo contrario, che si rivelerebbe, di conseguenza, in un’ascesa o in un declino sull’ipotetica scala.

    Ritengo necessaria questa premessa, per introdurre un breve ragionamento sui sistemi politici, sulle ideologie e, più in generale, su ogni “costruzione” teorica dell'uomo: indipendentemente dalle cause e contingenze storiche, ogni ideale che abbiamo sviluppato ha una sua “posizione” sulla scala.

    Ogni ideale e sistema politico non è solo, o principalmente, o “deterministicamente” un “prodotto della storia”, della cosiddetta “lotta di classe”, o di frangenti e condizioni varie: risente di questi fattori e si determina in forme diverse che lo posizionano sulla “scala” suddetta, anche in base alla posizione sulla “scala” stessa dei formulanti.

    Per semplificare: un collerico indugerà in comportamenti antagonistici verso gli altri, penserà e svilupperà forme illiberali e autoritarie.

    Una persona ben disposta verso il prossimo, positiva e cooperativa, tenderà ad essere onesta, ad aiutare gli altri ed a preferire sistemi politici liberali e collettivamente responsabili.

    Possiamo così dire che ogni “posizione” della scala viaggia su un’onda portante che, giocoforza, la “connette emotivamente” e praticamente con persone dall’equivalente sentire.

    I livelli ipotetici di questa scala non sono quindi pertinenti al solo microcosmo individuale, ma attengono al più vasto macrocosmo del gruppo, di una nazione, dell’umanità intera.

    Il “collerico” ed il “socievole” diventano, a livello di nazione, l’invasore/colonialista, oppure lo Stato di diritto teso ad instaurare rapporti amichevoli e proficui con le altre nazioni libere.

    La persona falsamente amichevole, tutta tesa a dimostrare la propria onestà e virtù, a livello di nazione può assumere le sembianze di un paese apparentemente liberale, ma effettivamente autoritario e “paternalista”, che nei rapporti internazionali pretende dettare legge per “il bene di tutti”.

    In base a queste premesse e considerazioni, porrei certamente agli apici della scala quelle visioni, ideali e sistemi politici che coniugano concetti di dignità umana e libertà, con quelli di responsabile cooperazione.

    In fondo alla scala avremmo, evidentemente, il caos totale, appena un po’ più su il massimo della tirannia, un potere totalmente arbitrario.

    Date queste premesse, non possiamo non vedere come la Dichiarazione Universale dei diritti dell’uomo si collochi ai vertici di quanto più positivo e creativo l’umanità abbia considerato desiderabile per ogni persona, popolo, nazione e per l’umanità intera.

    A ben vedere, i “sistemi ideali” che hanno preceduto i diritti umani, pur contenendo anche istanze fondamentali e legittime rivendicazioni portavano, chi per un verso chi per un altro – senza ora addentrarci nei vari frangenti e ragioni storiche – dei contenuti antagonistici, di lotta o affermazione o supremazia di una parte o “classe” sociale sull’altra.

    Leggendo i 30 diritti umani possiamo constatare come, al contrario, partendo dalla persona, dai diritti che le si riconoscono in quanto “essere”, dalle sue responsabilità e connessioni sociali, manchino di qualsiasi visione “classista” o antagonista: a ben vedere, la società che uscirebbe dalla loro piena attuazione sarebbe caratterizzata da una necessaria “fluidità sociale”, determinata unicamente dalla piena realizzazione dell’individuo, dalla libera espressione delle sue responsabili e creative predilezioni.

    Per fluidità sociale intendo certamente la possibilità, oggi sempre più virtuale, che una persona di qualsiasi estrazione possa arrivare al vertice in qualche campo.

    Intendo, in maniera migliore, la possibilità che ogni uomo e donna abbiano l’occasione di esprimere il loro essere, le loro predilezioni, i loro talenti, di scegliere liberamente cosa fare nella vita ed averne la reale opportunità.

    Intendo anche, e soprattutto, il fatto di liberare ogni essere umano onesto e cooperativo, dalle conseguenze negative che potrebbe avere da qualsiasi eventuale “giudizio”, “pregiudizio” o “considerazione relativa” al suo essere, al suo ruolo, al suo lavoro, al posto che ha scelto di occupare in società.

    Gli uomini e le donne contemplati dai diritti dell’uomo sono tutti diversi nell’essere, ma uguali nella possibilità espressiva del proprio essere.

    Dignità, libertà e responsabilità, con cui possiamo sintetizzare l’etica dei 30 diritti umani, appartengono ad ogni persona, indipendentemente da altre considerazioni di sorta: sono diritti da reclamare per sé e doveri da attuare verso l’altro.

    Partendo da questi presupposti ed osservando lo stato dell’associazione umana oggi, possiamo individuare degli enormi problemi riguardo la reale attuazione dei 30 diritti: alla completa NON ATTUAZIONE in ancora troppo grandi parti del globo, si affianca il problema di una gigantesca MISTIFICAZIONE degli stessi, nei paesi più industrializzati, che si affianca ad una sempre maggiore DIMENTICANZA per alcuni di essi.

    La MISTIFICAZIONE dei diritti umani è complessa e infida, si sostanzia in teorie, pratiche e prassi giurisdizionali che potrebbero portare alla progressiva demolizione delle “istituzioni antropologiche” dell’uomo, della sua stessa concezione e integrità psico-biologica: come ad esempio nei campi della sessualità, del “genere”, del diritto alla Vita, nella variegata manipolazione della stessa in ogni sua fase e per ogni sua problematica, fino ad autorizzarne la sottomissione farmacologica del “malato mentale” o dell’individuo “scomodo”, sordi ad ogni appello alternativo basato su una “scienza umanistica” non al servizio dell’industria.

    La DIMENTICANZA, che è anche in parte mistificazione, riguarda quei diritti cosiddetti “fondamentali”, quei DIRITTI CIVILI e SOCIALI che appena 30-40 anni fa sembravano essere sulla via di una loro progressiva attuazione: il mondo del lavoro e la democrazia stessa mostrano un pauroso arretramento nella giustizia e nella reale rappresentanza.

    Il mondo “privatamente globalizzato” e sempre più “privatamente tecnicizzato” ci fa intravvedere un futuro di intimo controllo globale su cui non avremo più forza morale, civile e giuridica per opporci, sia a livello individuale sia come Stato di diritto.

    Rimane quindi un solo appello: la società civile è chiamata alla costruzione di una politica veramente “umanista”, capace di sintetizzare i percorsi attuativi per ognuno dei 30 diritti umani.

    L’intelligenza, la storia, la storia del Pensiero, la capacità tecnologica, possono essere al servizio dell’uomo, non è scritto da nessuna parte un diverso destino, se non nella nostra imperdonabile negligenza.




    9 dicembre 2018
    Questa la sezione del blog dove trovare tutta la serie di approfondimento per ognuno dei 30 diritti


    Edited by massimofranceschini - 4/1/2020, 18:49
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    tratto da: Aiutatemi, Sono Malato di “Sovranismo Psichico


    In teoria saremmo nell’era della “conoscenza”, purtroppo siamo decaduti in un’era in cui la “scienza” è portata a nuovo idolo.

    Un’era caratterizzata da una generalizzata prassi ad infarcire di “scienza” qualsiasi cosa voglia presentarsi come autorevole.

    Lo “scientismo” che ne è derivato non è solo la tendenza di voler applicare il metodo scientifico ad ogni ambito del sapere, operazione su cui non ci sarebbe niente da dire se compiuta con coerenza, ove possibile.

    Lo scientismo si manifesta, ad esempio, con una più deleteria pretesa terminologica, classificatrice ed etichettante, “rapita” dalle scienze umane alle scienze naturali.

    Tale tendenza, abbinata ad un sostanziale materialismo di base con cui le scienze umane hanno preteso circoscrivere l’uomo è sfociata, inevitabilmente, in teorie e prassi assai discutibili che il mondo della “scienza” avrebbe dovuto denunciare con fermezza.

    Ciò non è avvenuto, o non è stato sostenuto con la necessaria forza.



    8 dicembre 2018


    Edited by massimofranceschini - 20/3/2020, 15:27
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    Non aggiungiamo alla dittatura del sistema la nostra incapacità di comunicare


    fonte immagine: PxHere

    Articolo pubblicato anche su ATTIVISMO.INFO


    Ma vi pare che nella grave situazione in cui si trova il nostro Paese si debba parlare dei tweet di Salvini, ormai il vero Presidente del Consiglio, che fanno tanto comodo al distraente can can mediatico?

    Sul vizio del tipo di governare dai social mi ero già espresso qui, e sul gioco perverso media-politica/spettacolo in questo più recente.

    Le gaffe mediatiche di Salvini e ormai, praticamente, l’attività di tutta la politica sui vari media, spostano l’attenzione dalle urgenze del Paese e dalla falsa rappresentazione che il circo politica-spettacolo ne fa, per indirizzarla su polemiche artificiali abilmente rappresentate dai registi dello show.

    Nei media la perversione di tale intreccio raramente diventa oggetto di discussione, di inchiesta: anche i “nemici” di Salvini, per restare sullo spunto dell’articolo, raramente osano mettere in discussione il rapporto media-politica, preferendo entrare nella polemica di basso profilo, alimentando così il gioco distraente.

    Ne è un esempio il “politicamente correttissimo” Massimo Gramellini sul Corriere della Sera di ieri, che si occupa proprio di Salvini e della manifestazione organizzata per sabato, intitolandolo “Lui c’è”.

    La critica che muove al ministro è certamente corretta ma, come vedremo, del tutto insufficiente per capire la perversione del rapporto media-politica.

    Vediamo:

    Vorrei rispettosamente segnalare al ministro dell’Interno chi è il ministro dell’Interno. Lui. Se sapesse di esserlo, fermerebbe il maghetto merlino che gli prepara le pozioni d’odio da versare nel calderone fumante dei social. L’ultima riguarda la manifestazione di sabato prossimo. Invece di promuoverla con le facce, e magari le idee, di chi la pensa come lui, Salvini ha deciso di esporre al pubblico ludibrio il volto di chi lo critica.Tutti accanto alla scritta ‘Lui/Lei non ci sarà’, immortalati in pose sgraziate per facilitare l’pera di dileggio. Sono i famosi ‘due minuti d’odio’ profetizzati da George Orwell, che se fosse ancora vivo farebbe parte della lista, pur essendo un anticomunistaIl ministro dell’Interno è il bersaglio preferito delle opposizioni fin dai tempi di Scelba. Ma in democrazia l’immenso potere conferitogli dal ruolo lo costringe ad abbozzare. Se una ragazzina ignorante gli augura di morire, non può metterla in Rete a volto scoperto, esponendola alla gogna. C’è Salvini. Noi ce ne siamo fatti una ragione. Se ne faccia una anche lui.

    Condivido parola per parola, tranne 4 che vedremo: la pratica di Salvini è orrenda e non dovrebbe essere degna di un rappresentate del popolo che si voglia definire democratico.

    Una qualsiasi carica istituzionale non dovrebbe permettersi atteggiamenti del genere, allo stesso livello di quelli che troppo spesso vediamo sul Web.

    Salvini ha il dovere di parlare di contenuti e proposte, ha anche il diritto di rispondere alle critiche, non dovrebbe però abbandonarsi a modi da bullo di quartiere: il “mobbing mediatico” può essere devastante per chi non in grado di difendersi, mentre per gli avversari può essere una ghiotta occasione di alimentare ulteriormente diatribe che nulla hanno a che vedere con il bene del Paese.

    Le 4 parole, certamente provocatorie, che rendono però “insufficiente” quanto scritto dal Gramellini sono: “Se sapesse di esserlo”, riferite alla consapevolezza che Salvini dovrebbe avere della sua carica.

    Il problema è, a mio avviso, che Salvini, in bella compagnia di quasi tutta la politica, se ne frega altamente delle responsabilità della sua carica.

    Consapevole o meno della gravità di ciò che sta facendo, usa la comunicazione per accentrare l’attenzione su di sé, senza una vera responsabilità politica, istituzionale ed etica.

    La conferma di ciò l’abbiamo proprio dallo stesso giornale, nello stesso giorno, che riporta il risultato di una ricerca fatta da una società di ricerca e comunicazione, la Eikon, con un articolo di Claudio Bozza dal titolo: “POST DI ‘PANCIA’ E NEMICI ALL’INDICE. Così Matteo supera Luigi sui social. Ricerca Eikon sui due leader: ‘5 Stelle più sobri, ma non paga’”.

    Vediamo:

    Eikonha monitorato i profili Facebook dei due leader tra l’1 gennaio ed il 25 novembre scorsi. In questo arco di tempo Salvini ha pubblicato oltre 900 post tra commenti, foto e video, con 28 milioni di interazioni virtuali da parte degli utenti; mentre Di Maio 821 post, con 25 milioni di interazioni.Politica e tecnologia, nella strategia di Salvini, sono strettamente correlate. La ‘Bestia’, così i leghisti hanno ribattezzato la ‘macchina’ per la propaganda Internet guidata da Luca Morisi, riesce infatti ad analizzare in tempo reale quali sono post e tweet con più successo. Ciò, analizzando il sentimento degli italiani, consente in tempo reale di aggiustare il tiro a livello empatico. In sintesi: se un post in cui si parla di immigrazione scatena reazioni del tipo ‘gli stranieri ci tolgono il lavoro’, il post successivo cavalcherà questo stato d’animo, usando parole ancora più dure. Il riscontro social di Di Maio paga un prezzo dovuto al passaggio dalla protesta del Movimento delle origini alla proposta di governo. Il linguaggio del ministro Di Maio su Facebook è diventato più sobrio, meno ‘di pancia’. In definitiva, Salvini usa Facebook come amplificatore della sua comunicazione politica sovranista, mentre Di Maio come strumento informativo sulla sua agenda di governo. Due approcci opposti, due diversi equilibri tra emozione e razionalità di governo. E così, almeno per il momento, l’ascesa della Lega sembra inarrestabile.

    C’è subito da notare lo stereotipo dei media di appellare come “sovranista” qualsiasi cosa di destra, ma qui il focus del problema è un altro: lo squallido panorama conferma l’irresponsabilità di una politica completamente disinteressata al Paese ma soltanto alla propaganda che pensa sia in grado di tenerla “in sella” più a lungo possibile.

    Non assolvo certo i 5 Stelle, anche se in questo frangente Di Maio appare certamente più sobrio e corretto del collega: non si può non dimenticare l’uso dell’ingiuria e della gogna mediatica, ben altra cosa dalla critica, che ha sempre caratterizzato il movimento.

    C’è un limite di correttezza che non andrebbe superato e che, anzi, andrebbe sempre più ristretto in proporzione all’ascesa del soggetto al proscenio della notorietà e della responsabilità.

    Un ministro, un parlamentare, un dipendente dello Stato hanno il dovere civile ed etico di difendere l’onore della carica, della politica tutta e della Nazione di cui sono rappresentanti.

    Il fatto che la politica ceda in questo modo al protagonismo offerto dai media è cosa su cui riflettiamo sempre meno, soprattutto dopo che ormai da anni una televisione “americanoide” ci ha “educati” al becero, al volgare al povero di pensiero, in ogni campo.

    Abbiamo bisogno di persone serie e preparate che non abbocchino agli espedienti dei conduttori televisivi e dei giornalisti, ma che con semplici parole spieghino la truffa del debito pubblico e la falsità di tutti gli slogan di una falsa economia con cui il sistema tiene sotto lo scacco della paura il Paese intero, permettendo così all’oligarchia bancaria di governare tramite i litigiosi lacchè della politica, dei talk e della carta stampata.

    Abbiamo bisogno di rappresentanti che illustrino proposte semplici e comprensibili con le quali il Paese possa tornare ad essere indipendente dai molteplici ladrocini cui è soggetto.

    Forse non è facile, come possiamo constatare ogni giorno guardando qualche talk, il sistema politica-spettacolo “contagia” e “distrae” anche quei personaggi che avrebbero cultura e consapevolezza per fare quanto necessario: abbiamo visto una pur consapevole Ilaria Bifarini destreggiarsi con difficoltà dalla Gruber, domenica scorsa Bagnai fare una brutta figura dall’Annunziata nel confronto con Calenda, per non parlare del dimesso Rinaldi, ormai onnipresente, ben altra cosa dal battagliero che strappa l’applauso anche nei convegni CasaPound.

    La comunicazione non è “solo” vita, come ci insegna la filosofia, è l’unica occasione che abbiamo per provare ad incrinare il muro di slogan falsi e confondenti del cosiddetto “pensiero unico”.

    Se non lo capiremo dovremo rassegnarci allo scoraggiamento dato dall’avere le soluzioni e dalla contemporanea impossibilità di comunicarle e farle comprendere nella misura necessaria al cambiamento.

    Una triste fine per democrazia e libertà.




    5 dicembre 2018
    Questo il mio libro, un programma politico basato sui diritti umani


    Edited by massimofranceschini - 17/2/2020, 18:15
177 replies since 2/2/2016
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