OSSERVAZIONI SU “L’ARTE DI AMARE” DI ERICH FROMM

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    vividarte

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    Da qualche galassia lontana...nato a Foligno ma residente a Genova, da sempre interessato alle arti, alla condizione umana ed alla spiritualità

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    Un insieme di riflessioni di anni addietro

    Erich_Fromm
    fonte immagine: Wikimedia Commons


    Questo scritto vuole essere un punto di vista controcorrente rispetto al consenso pressoché unanime di cui gode l’opera.

    Certamente non una critica radicale a quanto di positivo l’amore è in grado di suscitare, non sono il cinico che va predicando l’inutilità, persino l’inesistenza del “vero amore”.

    Credo ancora in esso al punto di averci scritto un libro, nonostante esempi drammaticamente scoraggianti e la falsa realtà che i media ci rappresentano, incluse le “discutibili” rubriche psicologiche nelle riviste.

    Senza l’amore per le cose, le persone, il creato, gli ideali, non saremmo uomini ma una razza animale di robot funzionanti a stimolo-risposta, il destino che del resto ci attende se non ci risvegliamo velocemente: il regime tecnologico di controllo globale è alle porte.

    E’ certo che l’amore “maturo” richieda consapevolezza, intenzione, volontà, un certo tipo di “sacrificio” che a ben vedere tale non è, complicità ed empatia; tutte cose che spesso dimentichiamo crescendo e che, se siamo abbastanza fortunati da essere ancora forti e se cerchiamo i giusti stimoli culturali e sociali, possiamo anche riscoprire, magari ricordandoci come l’amore sia connaturato da sempre al nostro essere.

    La mia critica è un fondamentale disaccordo con l’ambito culturale che permea l’opera: una cultura “moderna” sostanzialmente materialista, culla del laicismo imperante.

    La cosiddetta perdita di valori non è solo uno scontato modo di dire ma frutto di tanti concetti persi, sacrificati, “superati”, dimenticati, travisati e riformulati all’insegna di una cultura materialista e meccanicista.

    L’uomo moderno ha perso la sua anima e sta perdendo anche l’amore: ciò è naturale, sono quasi sinonimi!

    I concetti ed i punti di vista che esporrò qui brevemente e sinteticamente sono ovviamente espressi in maniera più adeguata nel mio libro, ispirato a suo tempo anche dalla lettura dell’opera in questione.

    Questo testo è sostanzialmente un insieme di note abbozzate anni fa, se non ricordo male verso la fine degli anni '80, un po’ riviste e adeguate alla mia scrittura odierna.

    Ho perso i riferimenti ai passaggi dell’opera di Fromm relativi, sono comunque certo che la notorietà, la brevità e l’incisività dell’opera in questione aiuti a sopperire a questa mancanza; magari la lettura di queste note potrà generare una seconda verifica del testo per chi lo avesse già letto, o la curiosità di chi non lo conosce.

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    - So bene che può non essere immediatamente deducibile ciò che sto per dire, chiedo un po’ di attenzione: il consumismo, caratteristica fra le più significative dell’era moderna, è uno degli effetti diretti della negazione dell’anima operata dalle nuove “scienze umane” (psichiatria, psicologia e psicanalisi in testa), di cui l’autore è un eminente esponente.

    La “vittoria” della “scienza” ha messo in secondo piano non solo la religione, ma anche la cultura umanista.
    La scienza sembra apparentemente aver vinto, ma in effetti ciò che risulta evidente è il progressivo formarsi di una cultura scientista, meccanicista e tecnologica, che a ben vedere tradisce anche lo spirito più puro della scienza.

    Ecco allora mostrarsi in tutta la sua evidenza il perché l’umanità stia dando sempre più importanza all’aspetto materiale dell’esistenza.

    Anche le ideologie che pretendono uguaglianza non sono veramente interessate all’uomo, come dimostrano i tragici esiti della storia ma, negando legittimità alla proprietà privata permessa solo allo “Stato”, danno paradossalmente un’enorme importanza alla materia.

    Ora possiamo capire come nella modernità la speranza individuale di realizzazione dell’essere umano si identifichi sempre più nell’“avere”, non nell’“essere”.

    L’amore diventa esso stesso un triste “avere sesso da corpi”; una volta si diceva “fare l’amore”, oggi facciamo sesso.

    - La cultura moderna impregnata di scientismo e sempre meno umanista ha escluso lo spirito dell’uomo dall’equazione; l’uomo si è perciò considerato sempre più “macchina biologica” quindi, in quanto macchina, soggetta a deterioramento.

    La ricaduta di ciò sull’amore ha fatto sì che ormai consideriamo normale la perdita dello slancio iniziale, impulso sessuale compreso.

    Tutte le declinazioni del sentimento sono progressivamente sommerse da problemi, quando va bene impariamo a sopportarci.

    Chi non considera la sua anima resta sopraffatto dal tempo che crede troppo potente.

    - L’ideologia che nega lo spirito umano, a ben vedere minoritaria nella storia dell’uomo, ha portato a ipotizzare l’identità della persona come un fattore scaturito dal mondo materiale e animale, da qui l’idea del senso di separazione dalla natura e quindi solitudine di cui parla l’autore.

    Sono queste secondo me congetture forzate, che non tengono conto della natura aggregante della vita e dell’uomo, ma anche della materia.

    La principale caratteristica degli esseri viventi, della vita e di ogni cosa esistente è l’aggregazione: atomi formati da particelle subatomiche, molecole, composti organici e inorganici, nuclei sociali.

    Partendo da questa osservazione, dove sarebbe questa primitiva solitudine da cui l’uomo avrebbe voluto emanciparsi e da cui sarebbe scaturito l’innamoramento come soluzione primaria?

    Solitudine vuol dire non poter percepire e comunicare, non poter sentire altri punti di vista, non poter capire altri che se stessi, non poter conoscere, creare, costruire insieme.

    La percezione di una qualsiasi solitudine è possibile dopo che si è sperimentata un’unione di qualche tipo, soli non si nasce, si diventa.

    Se accettiamo questo punto di vista capiamo la condizione del bambino, che nel corso della sua crescita sembra attraversare velocemente l’evoluzione umana: ci può effettivamente anche se non drammaticamente apparire come uno smarrimento, perché non sa dov'è e nulla conosce, ma certo non può sentire il senso di solitudine di cui parla l’autore, dipendendo 24 ore su 24 dagli altri per sopravvivere.

    Per chi ha qualche concezione religiosa di sé come essere spirituale immortale, sarebbe forse più ragionevole pensare all’originaria condizione umana come ad uno stato di smarrimento, simile a quella appena descritta per il bambino, una condizione mentale affine alla perdita di cognizione di qualcosa o della memoria stessa.

    - L’uomo non è una macchina o un insieme di cellule dal comportamento automatico, checché ne dicano alcuni guru-tuttologi delle neuroscienze.

    La consapevolezza di sé è andata di pari passo con quella dell’altro e della natura.

    La sua specificità di essere senziente e pensante gli ha permesso di adattare l’ambiente a se stesso, di socializzare, di formare mille culture, di creare arte e costruire civiltà.

    I suoi problemi nascono altrove secondo me: alla base abbiamo la non conoscenza della mente e delle prerogative spirituali individuali, non nel fantomatico senso di separazione dalla natura da cui scaturirebbe la solitudine.

    Non troviamo queste conoscenze nel mondo della psicologia, dal momento che ha da subito “rinnegato” la sua stessa radice: psiche-logia, studio dello spirito.

    - Nel corso della storia si è dato troppo peso alla parte visibile dell’essere umano, il corpo.

    La diversità sessuale, secondo me non sostanziale in termini di identità (anche se molto accentuata dalle religioni classiche ma anche dalla cultura materialista), è diventata il campo di battaglia e di controllo su cui costruire teorie, determinare comportamenti, negare o imporre sensibilità.

    - Credo che noi siamo fondamentalmente spirito e che la dimensione materiale che stiamo “occupando”, inclusa la nostra appendice biologica, sia una “trappola” (evito ora qualsiasi speculazione sul perché e sul percome siamo finiti o abbiamo creato questa trappola, rimando alla cultura filosofico/religiosa che ritengo sede più appropriata).

    Quindi una trappola, di cui ora come ora siamo totalmente effetto, che è la causa fondamentale dei nostri problemi individuali e sociali, nonché della dimenticanza della nostra vera natura e del nostro passato, vite precedenti incluse.

    Dati questi assunti dobbiamo capire come la meditazione contenga dei rischi, se pensiamo che conoscenza e illuminazione debbano portarci a comprendere la nostra vera dimensione spirituale trascendente, può addirittura essere controproducente.

    Nel momento in cui con la meditazione cerchiamo di “astrarci” dalla nostra parte biologica e dalla realtà, possiamo “andare a sbattere” contro la trappola stessa.

    La natura di questa trappola e la forza contenuta in essa devono essere drammatiche e micidiali, tali da imporci dimenticanza, smarrimento e negazione della nostra potente natura di esseri spirituali immortali, “membri” della dimensione creatrice trascendente.

    Il ciclo verosimile che va da consapevolezza a non consapevolezza/negazione, parte necessariamente da una condizione precedente l’universo fisico, e deve aver per forza di cose attraversato un “iter” di sempre maggiore inconsapevolezza, dimenticanza, identificazione con i corpi, ecc.

    Questo ciclo si conclude con dei meccanismi mentali che ci fanno pensare di essere totalmente effetto della realtà materiale e che non possiamo esserne causa, quando al contrario facciamo spiritualmente parte della dimensione che l’ha creato.

    Ecco allora come appare più plausibile e necessario un percorso fatto di miglioramento delle abilità nel guidare il corpo fisico, l’universo e le dinamiche sociali, che ci possa rimettere a punto causa consapevole in grado di determinare, modificare e gestire la nostra vita.

    Un percorso fatto di studio ma in cui la comunicazione riveste necessariamente un ruolo fondamentale e imprescindibile, una psiche (che ricordo vuol dire spirito)-terapia sulla nostra vita e sul nostro operato.

    Questa è la strada che ci potrà permettere di riconquistare le nostre abilità, la memoria e quell’illuminazione di essere altro rispetto alla realtà materiale, come summa di conoscenza da sempre auspicata nella filosofia religiosa e non.

    Da questo punto di vista la meditazione può apparire come una “scorciatoia” che paradossalmente ci legherebbe ancor più al corpo, forse anche dolorosamente, per i motivi appena spiegati e perché mancante della cosa fondamentale, la comunicazione.

    Una scorciatoia che può inizialmente presentarsi come efficace fonte di pace e benessere ma trasformarsi in un fine, che lascia sostanzialmente la nostra condizione di alienazione spirituale immutata.

    - So che le parole dette finora possono sembrare la descrizione di una visione anti scientifica, anti tecnologica e anti moderna, ma a ben vedere non lo sono necessariamente.

    Considero che la civiltà moderna non abbia realmente bisogno di greggi di automi per sopravvivere, anzi.

    E’ piuttosto la natura del potere della società materialista e senz’anima che necessita di automi uniformati nelle idee, nei gusti, nei consumi e nelle mode.

    Prima c’era bisogno di un gregge per il Dio, oggi di automi per la “sicurezza” e il “benessere”.

    - Il dogma materialista e meccanicista sulla natura dell’uomo permea anche la concezione psicanalitica del rapporto madre-figlio: il bambino sarebbe totalmente e masochisticamente effetto di una madre/idolo.

    Da qui si fa un’equivalenza fra questa presunta condizione e quella fra il religioso e Dio.

    Gran parte della cultura ancora non ha compreso l’aberrazione a-scientifica di queste visioni che azzerano differenze e specificità umane e culturali.

    - Lo stesso dogma porta l’autore a interpretare come crudeltà, probabilmente assimilata a quella presunta del primitivo, le azioni del bambino che rompe le cose per un presunto desiderio di penetrarne i segreti.

    Una crudeltà probabilmente “migliore”, finanche “necessaria”, dopo la fase iniziale “narcisista” in cui non avrebbe nessuna coscienza di sé e del mondo esterno.

    Mi chiedo come si dovrebbe interpretare secondo questa ottica l’evidente e intensa affinità, la voglia di contribuire e partecipare che provano i bambini verso i loro cari; probabilmente si interpretano, tristemente, come tentativi propiziatori per cibo, affetto e attenzione, certamente non amore, anche se non razionalizzato.

    - Anche il sadico ricade nello stesso paradigma interpretativo.

    Possesso e coercizione sono visti come tentativi di intima comprensione dei segreti dell’altro.

    Possesso e coercizione diventano quindi modalità di conoscenza, non più sintomi della paura di fondo che hanno i violenti verso gli altri, come apparirebbe più realistico.

    - La negazione dello spirito è negazione di ciò che l’uomo ha da sempre e prevalentemente considerato di essere.

    Anche l’amore, le sue capacità e tutto ciò che di positivo pensa e fa, non sarebbero parte della sua natura ma si determineranno, secondo questa concezione, attraverso evoluzione e crescita, del tutto condizionati dal corpo, dall’educazione, dalla cultura, da esperienze e posizione sociale.

    Dato che l’amore non è innato, cercheremmo sempre e fondamentalmente un amore apparentemente incondizionato, simile a quello materno.

    E’ errata secondo me anche l’osservazione che le prime percezioni di essere amati nascano dal senso di aver fatto qualcosa o di averlo meritato.

    Il bambino sperimenta amore incondizionato da subito, a meno di non avere genitori totalmente freddi e anaffettivi.

    Man mano che cresce le sue azioni determineranno certo una maggiore o minore corrispondenza da parte degli altri, ma non è detto che questo debba necessariamente causare una dimenticanza dell’amore vero e incondizionato.

    E’ proprio la “gratuità”, l’assenza di condizioni a rendere il vero amore così magico, a volte “inafferrabile”, proprio perché non direttamente e meccanicamente connesso con le nostre azioni.

    Credo che fondamentalmente stiamo ricercando quella dimensione di semplicità e naturalezza di un tempo.

    Spesso non riusciamo a trovarla o ricrearla perché cresciamo perdendo quel senso di meraviglia, le esperienze ci rendono cinici e freddi, i programmi psicologici di “educazione sessuale” di certo non aiutano, per non parlare di tutta la cultura mediatica di gossip e reality, sempre in mano alla psicologia.

    - L’ideologia materialista e meccanicista condiziona insomma tutte le concezioni di uomo, amore e realtà.

    L’uomo è considerato fondamentalmente egocentrico, come il suo amore.

    L’amore religioso è così visto dalla psicologia come una sublimazione dell’amore più o meno incondizionato che sperimentiamo da bambini.

    Considerare una dimensione creatrice trascendente non sarebbe quindi sforzo intellettuale di comprendere la vera natura delle cose, ma un egocentrico rifiuto di considerarci dei semplici prodotti del caso, nel caos della creazione e della vita.

    Questo "bisogno di sentirci creatori", non semplici creature, si esplicherebbe nella creazione e crescita della prole per la donna, nella costruzione di cose e idee, compresa quella religiosa, per l’uomo.

    Sempre il mondo della psicologia colpisce e nullifica i credenti con interpretazioni para-scientifiche dell’uomo e della spiritualità.

    Chi ha “bisogno” di un Dio non avrebbe raggiunto un pieno sviluppo mentale, si sarebbe fermato, sostanzialmente, ad uno stadio infantile e masochistico di bisogno di un padre/Dio che lo riconosca come figlio, che gli indichi la strada, che lo loda o lo punisca.

    - Anche l’economia è fatta entrare impropriamente in questo ambito.

    Ecco allora che la capacità di amare si svilupperebbe pienamente e prevalentemente negli adulti maturi e produttivi, su una base “commerciale” di scambio: a ben vedere una filosofia “utilitarista” che ha quasi ucciso del tutto l’ideale e la capacità di amare, per non parlare della durata dei rapporti.

    Certo secondo Fromm l’uomo non è così malvagio e senza amore come per Freud.

    Sarebbe bisognoso ed a volte in grado di amare, ma la sua visione determinista e meccanicista spiega insuccessi e fallimenti sociologicamente: la responsabilità sarebbe della società consumista e ingiusta, dove l’uomo è usato per produrre profitto e spinto a consumare.

    A ben vedere una visione che alla lunga ci deresponsabilizza da errori e comportamenti egoistici.
    Oggi ciò che conta è un’acritica autostima, costi quel che costi e lo stato del rapporto uomo/donna ne è l’esempio lampante.

    - Il dogma materialista condiziona ovviamente anche la concezione di sessualità, i suoi aspetti psicobiologici.

    Il sesso sarebbe così un tentativo di unire due polarità, maschile/femminile-più/meno, come fossimo batterie.

    Non mi meraviglio certo del fatto che le “scienze umane” abbiano partorito pratiche da officina meccanica come elettroshock, lobotomia, droghe e psicofarmaci.

    A beneficiare da questa concezione sono psicologi, psichiatri e industria farmaceutica che spaccia per malattie/disfunzioni le incomprensioni e diversità emozionali/tempistiche/sessuali.

    Una barbara e becera cultura di chiacchiere prestazionali che con l’amore non ha niente a che vedere.

    L’amore erotico sarebbe un inganno perché esclusivo e non universale.

    Per queste visioni è evidentemente difficile concepire la coesistenza dell'amore universale con quello indirizzato verso
    una persona.

    Perché al contrario l’amore di coppia non potrebbe essere e configurarsi come “unità di base”, come mattone fondamentale ed esempio dell’amore universale?

    Penso che i limiti e le problematiche dell’eros poggino, oltre che sulla concezione che abbiamo della nostra natura, sulla nostra non abilità a vivere ogni atto sessuale come unico ed a se stante.

    La routine è essenzialmente incapacità di vivere ogni nuova unità temporale.

    Inoltre errori, problemi, giustificazioni e “spiegazioni” ci incatenano certamente al passato, vivere e sperimentare il presente diventa così arduo, inimmaginabile.

    Se a questi problemi ci aggiungiamo la concezione che l’amore non sarebbe altro che un tentativo di superare la solitudine, troveremo normale il veloce esaurimento dello slancio amoroso nelle società moderne; arriviamo a giustificare, anche per un senso di irresponsabile comodità/complicità, gli psicologi delle rubriche sull’eros quando consigliano e/o giustificano i tradimenti e la fine della coppia.

    - E' quindi e soprattutto il mondo della psicologia ad aver partorito tutte le concezioni ammantate di “scienza” sull’uomo fondamentalmente egoista ed egocentrico: a ben vedere la filosofia dei regimi totalitari che ha sostituito i vecchi sistemi di potere basati su religione o discendenza aristocratica.

    Con essa giustificano il loro operato e necessità.



    circa fine '80, 6 aprile 2015


    Edited by massimofranceschini - 27/2/2020, 19:18
     
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