Posts written by massimofranceschini

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    Saremo veramente così "immaturi" e bidognosi di "finzioni" anche nel futuro?

    motabexe
    fonte: Boomstick Comics


    Mi è capitato di rivedere Artificial Intelligence di Spielberg.

    Anni fa non mi impressionò ma non ci stetti a ragionare più di tanto, preso dal sonno mi riservai una seconda visione.

    Reputo il film non esente da pregi visivi, narrativi, stilistici e recitativi, ma sostanzialmente resto dell'idea che non sia un film abbastanza centrato.

    Non mi interessa pensare o ipotizzare come Kubrik l'avrebbe fatto, il film eredita infatti un suo progetto mai realizzato, mi attengo al girato.

    Penso non sia centrato perché, in sostanza, regala ai robot un'umanità secondo me del tutto fuori luogo.

    L'espediente narrativo di ricordare una delle fiabe che hanno accompagnato la nostra crescita e fantasia, Pinocchio, può essere interessante o funzionale, ma qui non siamo nel mondo del fantastico, in cui l’autore sembra voler “comprimere” il racconto, siamo di fatto nell'ambito della più pura fantascienza tecnologica e "sociologica".

    La vera questione del film, peraltro riconosciuta dal regista e messa in bocca ad un'allieva del creatore di androidi William Hurt, è quella di come gli umani reagiranno trovandosi di fronte una creatura non solo a loro immagine e somiglianza, ma “capace” di amare.

    Potranno amare un "mecca" dotato di emozioni "proprie"?

    Evidentemente no, come dimostra la mamma "adottiva" del robot/bambino (uno strepitoso Haley Joel Hosment), alla fine “costretta” ad abbandonarlo, anche se non senza dubbi e lacrime.

    Spielberg ci serve un'umanità debole e insicura: un creatore di androidi affranto dalla morte del figlio che gioca con la robotica (il bimbo avrà il volto di suo figlio), una mamma inizialmente disposta ad "amare" il bimbo (il suo è ibernato in attesa di una cura), pur sapendo quanto sia "programmato ad amare", il marito di lei disposto a regalarle questo esperimento/finzione pur di rivederla felice.

    Il resto del film racconta la fuga del reietto in compagnia di un riuscitissimo Lucignolo/"gigolorobot", grazie alla recitazione di Jude Law.

    Diventeremo veramente un'umanità talmente debole e insicura da perdere razionalità e dignità con macchine umanoidi da cui farsi sedurre?

    Talmente debole da creare giocattoli schiavi, anche se apparentemente “liberi”, con cui interloquire?

    Talmente debole e confusa da aver quasi bisogno di rivolgere verso se stessa le leggi della robotica asimoviane?

    Forse sì, del resto deboli e confusi da questa cultura tecnologico-materialista già siamo.

    Dimentichi della nostra natura spirituale e abbagliati dal miraggio della tecnologia, forse non aspettiamo altro che il prossimo deus ex machina ci regali un nuovo gingillo tecnologico, magari apparentemente più umano di quel che stiamo diventando.

    Il regista non si addentra veramente in queste interessanti tematiche.

    Pur avendole certamente in mente preferisce la favola del novello Pinocchio ma non riesce ad avere quel felice equilibrio fra impegno e leggerezza che lo ha reso famoso.

    La dimensione distopica si perde nel tentativo di creare una nuova fiaba, anche troppo lenta, che non può ormai sorprenderci più di tanto.


    20 gennaio 2016


    Edited by massimofranceschini - 18/2/2020, 18:14
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    Un'occasione parzialmente mancata ed un auspicio per il futuro

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    fonte: DVDs Release Dates


    La visione dell'ultimo episodio della saga Star Wars, il VII, diretto da J.J. Abrams e la lettura di due opposte recensioni, mi spingono ad alcune riflessioni.

    Premetto che sono un appassionato di fantascienza e che non vidi subito il primo episodio degli anni '70.

    Fra le altre cose stavo leggendo i grandi autori del genere e reputai la saga, erroneamente anche perché poco informato e senza averla vista immediatamente, un prodotto di superficiale intrattenimento.

    La visione successiva mi sorprese piacevolmente: trovai il mix visionario di azione, avventura, epica, religiosità e tanto altro più che gradevole, a tratti irresistibile ed affascinante, anche perché bilanciava nello stile la cupezza e la profondità di altri grandi autori.

    Non che in SW manchino contenuti e dramma, anzi, ma la vena avventurosa, a tratti scanzonata ancorché epica, rendeva lo stile valido, centrato e alternativo nel raccontare la vita, l'amore, l'avventura, la filosofia, la politica e l’infinita lotta fra bene e male.

    Non che non vi fossero difetti, certo, in primis la mancanza di un corposo soggetto letterario, che però ha magari favorito la leggerezza dello stile del racconto.

    La novità tecnico-espressiva era talmente grande che non fece pesare, almeno a me, il fatto che si trattava dell'ennesima messa in scena di contenuti su cui la letteratura colta e meno colta di ogni genere aveva già detto praticamente tutto.

    Una novità tecnica di inventiva artigianalità che solo i grandi cineasti sono in grado di esprimere, riuscendo a sopperire alla scarsità di finanziamenti.

    Viene alla mente, anche se molto diverso, il grande John Carpenter, uno che non trovava certo limiti nella scarsezza di risorse, anzi!

    Insomma, Lucas aveva una visione d'insieme che rese la produzione del primo film un'avventura a parte, con l'autore solo contro tutti, produttori ed attori in primis, che non avevano compreso il progetto.

    Alcuni “difetti” e problemi della realizzazione sono stati brillantemente risolti dal regista con quell'affascinante arma del cinema, ed a ben vedere anche della letteratura, che è il montaggio.

    Paradossalmente possiamo trovare insufficienze proprio nell'aspetto tecnologico e nell'azione (ad esempio le sparatorie troppo imprecise anche per dei cloni, dotati di armi futuristiche).

    Comunque la prima trilogia ha brillantemente creato oggetti futuri, o misteriosamente passati, con una visione ed una perizia tecnica tali da “creare” la “necessità” di quelli che da lì a poco saranno gli effetti digitali.

    I “difetti” li vediamo inoltre in alcune figure troppo “pupazzoidi” anche se marginali, ad esempio gli sgherri di Jabba ed il simpatico popolo degli Ewok, dove fotografia e montaggio non potevano evidentemente aiutare più di tanto.

    Oltre ad una grossa questione di cui parlerò alla fine, anche la seconda trilogia ha “difetti”, secondo me, proprio in alcune scene d’azione, di guerra e duelli, ad esempio quelli fra i due massimi esponenti dei due lati della “forza”.

    Trovo invece centrato l’uso delle nuove tecnologie, capaci di mostrarci spazi e mondi affascinanti ed uno stato della Repubblica florido, non ancora totalmente sotto il giogo del male assoluto.

    Anche le trame della politica, l’ascesa al potere del malvagio e lo sprofondare nel lato oscuro della forza da parte del personaggio principale sono centrati e necessari, anche per capire da dove veniamo e dove andremo proprio oggi, se non troveremo un’etica personale e universale, e se la politica rimarrà appannaggio di una casta di burocrati manovrata da un’oligarchia di lobby più o meno occulte.

    Veniamo alle due recensioni relative all’Episodio VII.

    Inizio con quella dell’autorevole Mereghetti sul Corriere Della Sera, che in sostanza promuove il film con tre stelle su quattro.

    Una recensione che mi trova d’accordo quando elogia la regia “capace di non rallentare mai il ritmo” e quando afferma che Abrams: “ha saputo recuperare lo spirito originale proprio mentre apriva la storia verso nuovi sviluppi.

    Sono meno d’accordo con lui quando non evidenzia ciò che per me è il punto più negativo, che si poteva tranquillamente evitare, cioè il fatto che il film oltre ad essere un reboot ed un sequel allo stesso tempo, è anche troppo remake.

    Il Mereghetti afferma che il film “ricalca (o cita: scegliete voi) quello fondativo di Lucas. … Tante facce conosciute tornano, dunque, ma in nuove situazioni offrendo il piacere di un reincontro senza la delusione del già visto.

    Da un profondo conoscitore di cinema e persona colta come il critico del Corriere non mi aspettavo quel “o cita: scegliete voi”, e mi risulta strano che non abbia avuto a tratti la “delusione del già visto”.

    Ritengo la “citazione” in arte un omaggio/riferimento che un autore fa nei confronti di un’opera o di un artista che apprezza, e insieme “ringrazia” per la bellezza e l’ispirazione che gli ha donato.

    Anche se un autore può certamente auto-citarsi per comunicare un senso di familiarità/continuità con la sua opera (in questo caso anche cambiando registi siamo all’interno dello stesso soggetto), non credo si possa parlare di citazione se questa è corposa e importante, sia in senso qualitativo sia quantitativo come in questo film.

    Questo appunto è l’unica cosa con cui concordo in pieno nell’altra recensione, una totale stroncatura, nel quotidiano della Santa Sede “L’Osservatore Romano”, ad opera di Emilio Ranzato, stranamente raccontata sempre sul Corriere da Renato Franco.

    Il Ranzato afferma che i riferimenti ai vecchi film hanno “la sola funzione di giocare ruffianamente sulla nostalgia dei vecchi fan.”

    Concordo certamente anche perché ritengo il film così forte nell’appeal, vuoi perché tanto atteso, vuoi perché trattasi di una saga dal ricco successo planetario e intergenerazionale, da poter permettere agli autori libertà, sviluppi e innovazioni (che certo in parte ci sono stati), senza dover copiare i film precedenti.

    E’ mancato quel coraggio proprio dell’inventore della saga stessa.

    Il Ranzato fa altre critiche di ordine tecnico che possono essere discutibili.

    Parla di regia “modulata sul più sciatto cinema action di oggi, contiguo al mondo dei videogame”, e di “dinamismo gratuito e un abuso dei primi piani che corrodono gradualmente la forza dei personaggi e il respiro epico della storia”.

    Il Mereghetti al contrario afferma che il film è aggiornato “alle evoluzioni dei media senza però cedere all’infantilizzazione forzata di cui sono campioni i supereroi nati sui fumetti”.

    Sono d’accordo, anche se non mi dispiace necessariamente il sottofondo infantile degli eroi Marvel nati come “letteratura” per ragazzi.

    Invece non capisco proprio il Ranzato, anche se mi riservo di vedere il film un’altra volta, quando parla di eccessiva enfatizzazione nel riferimento “ai sistemi totalitari realmente esistiti... con un effetto grossolano e persino di cattivo gusto, in un contesto leggero come questo”.

    Sembra un po’ contraddittorio se ammetteva una certa forza nei personaggi e respiro epico della storia, pur corrosi secondo lui dalla regia, e certamente non concordo con il “contesto leggero come questo”.

    Una delle più grandi fascinazioni della saga è appunto quella di parlare di grandi e drammatici temi, anche se con “sfrontata” leggerezza.

    Spero che al giornale della Santa Sede non diano fastidio le analogie con la situazione mondiale di oggi in cui, se si ricerca con pazienza, scopriamo che le lobby mondiali finanziarie, militari, energetiche, farmaceutiche e mediatiche, sono sostanzialmente in mano a poche famiglie.

    Auspicando una maggiore libertà nei prossimi due episodi annunciati, non vorrei trovarmi ancora di fronte a vicissitudini troppo simili alla prima trilogia, vorrei fare un’ultima considerazione sulla saga.

    Uno dei suoi fascini sta nell’aver delineato una nuova religione in cui la “forza”, che permea le cose viventi e non, può essere usata in modo “trascendente” per favorire il bene o il male.

    Mi è piaciuta molto anche l’idea che il lato positivo della forza si percepisca e si coltivi se si segue un’etica personale molto forte, mentre il crimine fa sprofondare progressivamente nel “lato oscuro”.

    Quello che mi ha sempre deluso è che non tutti gli esseri viventi sembrano potenzialmente in grado di percepirla e usarla, prerogative riservate ad individui “eletti”, spesso dello stesso sangue.

    L’abborracciata “spiegazione” su basi biologiche apparsa nella seconda trilogia, è probabilmente figlia dello scientismo e del materialismo moderni, che cercano di annullare lo spirito umano forzando il campo del mentale interamente nella biologia.

    Forse i registi successivi chiariranno con coraggio questo punto, per farci capire che la forza può veramente essere in tutti noi.


    01 gennaio 2016

    P.s. Una visione successiva a distanza di un mese conferma quanto scritto.
    Ormai rassegnato ai “difetti” mi sono goduto di più ritmo, sceneggiatura e nuovi personaggi.
    Funzionano alla grande quindi speriamo bene per il futuro.


    CONSIDERAZIONI FINALI SULLA TERZA TRILOGIA

    Dopo aver visto gli altri due film e seguito brevemente alcune recensioni e dibattiti su vari siti mantengo sostanzialmente il giudizio: un buon intrattenimento ma assai carente di creatività che, ripeto, potevano permettersi tranquillamente.

    La macchina commerciale che avviluppa tutto lo showbiz, che potremmo definire il lato oscuro di questo, soprattutto americano, lega troppo la parte creativa del sistema, il lato “buono”, giusto per rimanere in tema.

    Il merchandising e le aspettative del pubblico da “non deludere” diventano le uniche direttive, i soli ambiti da solleticare/spremere… un po’ come accade oggi alla politica fatta per i talk televisivi e gestita dai social media… e le “gilde commerciali” ringraziano…

    Riguardo alle considerazioni che facevo sulla “forza” nessuna novità: il seguente passo di Luke nella prima lezione a Rey, secondo me non intende aprire alla possibilità che avrebbe ognuno di accedere alla forza, ma solo a ribadire che la forza esiste da sé, indipendentemente dal fatto che ci sia qualcuno in grado di sentirla e servirsene: “… quella forza non è prerogativa dei Jedi, dire che se il Jedi muore la luce muore è pura vanità …”.


    19 febbraio 2020


    Edited by massimofranceschini - 19/2/2020, 18:06
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    Considerazioni sui media, collaterali ad un bel film

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    fonte: Ciak: Cinema e Serie TV


    Il bel thriller di David Fincher, "Gone girl - L'amore bugiardo", merita due parole.

    Il regista è uno dei più interessanti degli ultimi anni, a partire da "Seven", e questo film affatto scontato, forte, strano e bifronte fa venire in mente illustri riferimenti cinematografici del passato, come "La donna che visse due volte" del grandissimo Alfred Hitchcock.


    Mille sono gli spunti e le riflessioni che scaturiscono dalla sua visione, ma a me ne preme una: quella sugli anchorman di cronaca nera.

    Esseri squallidi e senza dignità che, con la scusa della "missione di informare" e facendosi scudo della libertà di stampa e di parola, ammorbano le nostre vite prendendoci per lo stomaco, ben consapevoli degli effetti che ciò scatena.

    Sembra che nella loro mente non ci sia altro modo di raccontare le miserie umane, o che non ci sia altro scopo, se non quello di ribadire per l'ennesima volta quanto l'uomo possa essere violento e meschino, senza via d'uscita.


    Ogni secondo nel mondo accadono migliaia di atti di gentilezza, altruismo, amore, empatia e comprensione che però "non fanno notizia" o statistica.

    Ed è triste stare in mezzo alla gente e sentire commenti preoccupati, glaciali e cinici sull'ultimo omicidio show, li sentiamo parteggiare e sentenziare con un senso di giustizia mal riposto, portatori virali di questo sistema che ci vuole deboli ed apprensivi.


    Usiamo il telecomando e il nostro tempo in maniera più creativa, salute ed equilibrio miglioreranno notevolmente!



    21 dicembre 2014


    Edited by massimofranceschini - 3/3/2020, 17:13
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    Considerazioni e confronto dei due film negli aspetti che riguardano la spiritualità


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    fonte immagine: Flickr


    La visione del film “The Master” di Paul Thomas Anderson, mi spinge ad alcune doverose riflessioni.

    Sono un appassionato di cinema e dichiaro subito che tecnicamente il film è bellissimo, tanto da meritare la candidatura a tutte le statuette più prestigiose, per non parlare dei due attori principali, eccezionali.

    Purtroppo ho alcune riserve che riguardano il contenuto e le scelte del regista, anche autore del soggetto.

    Premetto che sono ovviamente per la libertà di espressione, soprattutto in campo artistico e in quest’opera di arte ce n’è da vendere.

    Proprio questa cognizione della libertà mi permette di discernere ciò che secondo me è notevole da altre cose più discutibili.

    In occasione del lancio i media mondiali lasciavano intendere che la storia riguardasse, più o meno velatamente, la nascita di Scientology e la figura del suo fondatore Hubbard.

    Il regista ha più volte affermato che effettivamente si era ispirato anche a questi due soggetti e all’affascinante ambiente socioculturale post bellico (siamo negli USA, 1950); più precisamente, lo scopo sarebbe stato quello di indagare le dinamiche che potevano instaurarsi fra un “guru” e un adepto (una personalità problematica e stressata dalla guerra su cui fare esperimenti) o, più in generale, con i fedeli di un nuovo movimento più o meno religioso.

    Fra gli argomenti centrali del film abbiamo quindi il culto della personalità e i culti stessi in generale.

    Due sono gli appunti fondamentali che mi sento di rivolgere all’autore.

    Il primo ha a che fare con la verosimiglianza; effettivamente nel film non c’è niente che possa oggettivamente e chiaramente ricondurre al movimento in questione o al suo fondatore, ma: ci sono moltissime cose SIMILI o VEROSIMILI non adeguatamente argomentate anzi, presentate in modo da apparire come frutto estemporaneo di non si sa quali strane elucubrazioni, come a voler generare confusione, addirittura repulsione, per chi non conosce il mondo della spiritualità e più precisamente Scientology.

    Il secondo appunto riguarda la caratterizzazione del leader del movimento descritto come egocentrico, a tratti violento, vanesio, eccentrico, millantatore, accentratore, ecc.

    Per chi si vuole informare onestamente, la vita, le opere, gli innumerevoli scritti e conferenze di Hubbard sono facilmente disponibili; uno sguardo oggettivo e non prevenuto non può non vedere la coerenza e la straordinaria ampiezza culturale del suo progetto.

    Sappiamo benissimo come i grandi cineasti si preparino meticolosamente nell'affrontare qualsiasi soggetto, dobbiamo quindi pensare che le verosimiglianze non siano casuali, come non casuale il modo negativo in cui si descrivono il fondatore ed i suoi compagni di viaggio.

    Tanto per parlar chiaro sembra che l’autore abbia voluto criticare e mettere Scientology in cattiva luce e ridicolizzare il suo fondatore, senza incorrere in pericoli di querela.

    Libero di farlo ovviamente ma, secondo me, sarebbe stato intellettualmente più onesto presentare fatti e avvenimenti veri, sceneggiare eventi e contenuti in modo da evidenziare sia le posizioni critiche con il movimento e il suo leader, insieme al punto di vista di chi lo stima e ne tesse le lodi.

    Sono ormai milioni le persone che sostengono il movimento, un numero in vertiginosa crescita.

    Ci sarebbe stato materiale a sufficienza per farci un grande film e favorire un dibattito culturale anche acceso ma proficuo.

    Un’occasione persa.

    Altra cosa ha fatto Eastwood con il bellissimo “Hereafter”.

    Coerente con i suoi dubbi ma spinto da una sana curiosità intellettuale, ha realizzato un’opera in cui si pongono importanti domande, lasciando allo spettatore il diritto di farsi una libera opinione sulle questioni della spiritualità, della vita, della morte e dell’aldilà.

    Non dà risposte definitive ma fa le giuste domande e insinua il SOSPETTO, se non la necessità, di una dimensione altra, trascendente (cose del tutto assenti in “The Master”).

    In “Hereafter” forse non c’è Dio, c’è sicuramente lo spirito dell’uomo schiacciato e spesso negato da questa società.

    Il sospetto è insinuato non tanto dal personaggio che afferma di parlare con le anime dei defunti, quanto da una neurologa e da una giornalista che si vede emarginare dal sistema, nel momento in cui decide di parlare attraverso un libro delle sue esperienze con l’aldilà.

    Proprio il personaggio della giornalista, centrale nel film, compie un percorso che la porta a fare domande “scomode”, non in linea con l’ambiente culturale e professionale cinico e senza anima.

    Una giornalista sui generis certamente diversa da un certo tipo di giornalismo probabilmente frequentato da Anderson, dedito allo sport moderno della gogna mediatica e appiattito in un “cinismo culturale” e professionale.

    Quando si occupano di questi argomenti, la maggior parte dei media mostra una incapacità di affrontarli onestamente e senza pregiudizi, molto simile a quella che mi sembra di vedere in “The Master”.


    15 agosto 2013


    Edited by massimofranceschini - 17/2/2020, 20:13
177 replies since 2/2/2016
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