Posts written by massimofranceschini

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    Edited by massimofranceschini - 10/1/2024, 15:35
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    Edited by massimofranceschini - 14/6/2021, 16:24
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    Un film che ci rivela come solo la filosofia può salvare la nostra civiltà


    fonte immagine: Pixnio


    Articolo pubblicato anche su ATTIVISMO.INFO


    Sono troppo intelligente per avere successo”, detta alla fidanzata che lo considera uno sfigato e lo sta lasciando e “Devo tentare la fortuna e la fortuna è collegata alla felicità… è scritto nell’etica di Aristotele”, sono due delle tante frasi che danno al film di Denys Arcand un carattere tutto suo, che va oltre a quello che la critica definisce anche “polar”, poliziesco-noir.

    Un film che ha molti piani di lettura che vanno dalla fotografia sociale degli “ultimi”, i senza tetto e gli estremamente poveri ai “primi”, che viaggiano negli spazi siderali della finanza.

    Il film è in buona sostanza un thriller-commedia con molta satira sociale in cui il protagonista, fattorino ma dottorato in filosofia, la fa da padrone nonostante tutto, proprio grazie alle sue illuminazioni filosofiche che lo rendono capace di scelte improvvise e apparentemente improvvide, ma che alla fine troveranno la loro “giustificazione”.

    È proprio la filosofia a dare equilibrio alla storia che sembra sia vera, anche se non è dato sapere quanto, è la filosofia che “permette” al “debole” e infelice ma consapevole protagonista di compiere tutte le scelte che si riveleranno necessarie, incluse quelle che lo porteranno ad incontrare due personaggi fondamentali per la riuscita del suo progetto, e del film: una splendida escort dalla bellezza disarmante e un ex detenuto, eticamente all’antica ma aggiornatosi finanziariamente durante il periodo di custodia.

    È ancora la filosofia a dare carattere al protagonista,mentre risponde alla escort-fidanzata che lo metteva in guardia sulla sua superficialità: “Ho un dottorato in filosofia, alla profondità ci penso io”.

    Dopo averci sapientemente illustrato il declino della nostra civiltà, intellettuale, di rapporti sociali, di costume, un crepuscolo fatto di perbenismo e disillusione con “Il declino dell’impero americano” e con l’Oscar “Le invasioni barbariche”, è con questo film sulla pazzia indotta dal denaro e della finanza che l’autore sembra chiudere il cerchio sulla nostra epoca malata.

    Quel denaro che il protagonista si trova a “dover” prendere, lo stesso denaro che “…ha distrutto gli Stati Uniti!”, oppure quello che viaggia sulle ali della finanza, purtroppo mai veramente denunciata nelle sue vere conseguenze da media e politica.

    La finanza globale, ben superiore alla politica, agisce in una dimensione eterea ed extraterritoriale assai ben esposta nel film, una dimensione le cui ripercussioni vediamo nella miseria di tutti i giorni, sulle facce dei senzatetto che il protagonista, sempre armato della sua filosofia, aiuta come volontario nel tempo libero.

    La critica non ha osannato il film, anche se non manca certo la piena sufficienza: sicuramente non è un’opera “convenzionalmente profonda”, di quelle che prendono lo spettatore allo stomaco ma, forse proprio per questo, credo capace di far capire l’assurdità del presente e le vere questioni che media e politica cercano continuamente di eludere.

    Un tipo di cinema che adoro, capace di coniugare alla grande impegno, ritmo e sorriso, quel sorriso comunque assente dai volti dignitosi degli “ultimi” con cui il regista cala il sipario della nostra epoca.




    26 aprile 2019


    Edited by massimofranceschini - 4/1/2020, 11:23
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    Edited by massimofranceschini - 10/1/2024, 15:00
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    Edited by massimofranceschini - 10/1/2024, 14:38
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    Consigli per vivere meglio


    fonte immagine: PxHere


    Il termine “protocollo” è assai interessante.

    Forse non ci abbiamo mai pensato ma descrive perfettamente la nostra epoca.

    Non sto parlando delle varie accezioni del termine usate nel “burocratese”, quanto di altri due aspetti del termine, che si intersecano fra loro.

    La prima è quella che ha a che fare con i fondamenti della scienza stessa e che riguarda l’aspetto percettivo su cui si andranno poi a formulare teorie.

    La seconda sarebbe quella relativa all’insieme di procedure tecniche, di qualsiasi campo, che possono avere anche un riscontro normativo.

    Un protocollo è quindi un insieme ordinato di passi e procedure tecniche sviluppato dall’esperienza, a partire dalla definizione di come si andrà ad osservare qualcosa.

    I protocolli, come tutte le cose “scientifiche”, possono quindi essere soggetti a modifiche e miglioramenti.

    Tornando alla nostra epoca ed osservando l’enorme sviluppo tecnologico sin qui avuto, l’implementazione crescente di ambiti in cui la nostra realtà ha a che fare, si interfaccia ed è condizionata da protocolli tecnologici e di intelligenza artificiale, potremmo tranquillamente affermare che siamo nell’“Era dei protocolli”.

    Un protocollo ha un grande “ente” con cui fare i conti… anche se, in effetti, siamo noi a doverli fare: il tempo.

    Il tempo è un concetto così affascinante e complesso con cui difficilmente entriamo “in contatto”, pur usandolo ad ogni respiro.

    Il tempo non è quello degli orologi, oggetti che potremmo chiamare in senso a questo ragionamento dei tecnologici “protocolli interpretativi”: di fatto, una fantastica realizzazione del concetto prima espresso, riguardo i protocolli della percezione basilare su cui si fonda una scienza.

    Giorgio è un uomo apprensivo.
    È alla fermata del’autobus, deve arrivare assolutamente in tempo ad un colloquio di lavoro.
    Secondo i suoi calcoli, per niente ottimistici, per riuscire nell’impresa l’autobus avrebbe già dovuto passare da almeno 5 minuti.
    L’autobus arriverà fra altri due minuti.
    Questi 7 minuti avranno per lui una lunghezza insopportabile, il tempo sembrerà scorrere ad una velocità folle da una parte e non muoversi dall’altra.
    Alla fine del colloquio, andato bene, gli stessi 7 minuti dall’arrivo dell’autobus che lo riporterà a casa sembreranno a lui dolcissimi, ne vivrà ogni respiro con un nuovo sguardo, da una parte, e scorreranno in un batter d’occhio dall’altra.

    Gina è ancora giovane ma ha già un discreto fardello di relazioni insoddisfacenti.
    Si trova in un bar ad aspettare con impazienza il nuovo, eccitante amico: abbiamo una relazione all’orizzonte e il ritardo di lui, anche di soli 5 minuti, risulterà a lei quasi intollerabile, cosa che si guarderà comunque bene dall’esprimere.
    Alla fine dell’appuntamento, emotivamente molto appagante, gli stessi 5 minuti che intercorrono fra il parcheggio di lui sotto casa di Gina ed il momento in cui se ne andrà saranno per lei meravigliosi, fin troppo brevi.

    Quando iniziai a lavorare nella ristorazione e nei bar, nei turni in cui c’era più clientela il lavoro era duro ma il tempo scorreva velocemente perché non ero mai fermo e la giornata di lavoro non era così lunga.
    Nei turni più di stanca il tempo non passava mai e mi ritrovavo quasi automaticamente ad essere meno produttivo.
    Più avanti negli anni aprii dei bar e con l’esperienza mi organizzai, imparai a non perdere il tempo dei turni meno produttivi, in un bar ci sono 1000 cose da fare, sempre.

    Aspettare quindi “allunga” il tempo, mentre fare, agire, lo “accorcia”.

    In queste ultime settimane la mia vita ha avuto fortemente a che fare con i protocolli e con un tempo da riempire senza perdere lucidità.

    La mattina del primo marzo a Genova era una bellissima giornata, me ne stavo andando a piedi verso un supermercato molto vicino all’Ospedale San Martino, quando lo strato più interno della mia aorta ascendente decise bene di dissezionarsi improvvisamente, molto prima di quanto previsto e monitorato.

    Il senso interno di “rottura idraulica” era chiarissimo, non bello da provare anche se non doloroso, il liquido caldo che sentivo scendere lungo il tronco verso i reni non era per niente rassicurante, per non parlare della sudorazione e della forte riduzione respiratoria.

    Girai immediatamente il culo verso il pronto soccorso che stava a 100 metri, per niente intenzionato a tirare le cuoia.

    Vedo subito un’ambulanza ferma alla rotatoria prima dell’ospedale, mi avvicino, scorgo gli operatori al bar vicino al tabaccaio, faccio loro segni di evidente difficoltà e necessità di andare al pronto soccorso.

    In un batter d’occhio ero dentro al protocollo del pronto soccorso a spiegare i fatti e la più che probabile causa, cercando di rispondere in maniera precisa alle loro domande.

    I ragazzi del pronto soccorso, gentili ed efficienti, sembravano avermi preso in simpatia, forse anche per l’accento non genovese, alla mia uscita in barella sentii chiaramente una di loro dire “fantastico”.

    Probabilmente mi ero inserito in maniera anomala nel loro protocollo, che comunque aveva tenuto alla grande.

    In men che non si dica ero dentro una Tac e in sala operatoria, salvo per miracolo.

    La meraviglia dei medici, a quanto mi dicono, continuò quando chiesi loro se fosse possibile, già che c’ero, togliere anche l’ernia jatale… e osservando la reazione successiva all’intervento di 6 ore, il fatto che mi fossi svegliato molto presto e subito cosciente.

    Dall’inizio del problema alla felice risoluzione, la mia vita è stata in mano a svariati protocolli ed a persone che li avrebbero attuati brillantemente (un particolare ringraziamento va al Prof. Scarano ed alla sua équipe).

    Il pomeriggio dell’8 marzo ero già a Camogli, in un bellissimo centro specializzato in riabilitazione, con dentro anche molti Milanesi operati in Lombardia ma che avevano ben scelto la Liguria per la loro guarigione.

    La gestione del tempo durante i primi giorni di ricovero è stata assai riuscita e fondamentale.

    I tubi che uscivano ed entravano dal mio corpo, i dolori, gli impedimenti di vario tipo, la grande incapacità respiratoria, l’impossibilità di coricarmi di lato e mille altre cose che rendevano difficile la mia vita, andavano affrontate in un certo modo gestendo il tempo per non permettergli di “non passare mai”.

    Cercavo, in buona sostanza, di essere più presente possibile ad ogni attimo in cui mi accadeva qualcosa o accadeva nelle vicinanze.

    Ogni volta che mi sentivo in grado di “pensare” cercavo di immaginare il futuro, di progettare la vita che avrei vissuto da lì in poi, assai diversa, di sapere cosa avrei dovuto fare e scrivere.

    Nei momenti meno “impegnati” cercavo di “gustare” ogni cosa, ogni mio movimento, anche se doloroso, ogni dato percepito.

    Dovevo imparare ed occupare il tempo con le mie idee, senza farmi invadere la realtà da un tempo che premeva con tutta la sua forza.

    I primi giorni passarono così, né lenti, né veloci ma molto meno stressanti di quanto avrebbero potuto essere.

    Quindi, il mio consiglio è: qualsiasi cosa stiate facendo create sempre un buon protocollo e diventate padroni del vostro tempo.



    14 marzo 2019


    Edited by massimofranceschini - 1/3/2020, 09:47
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    Edited by massimofranceschini - 10/1/2024, 09:59
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    Libertà e democrazia passano necessariamente dalla cultura e dall’arte


    fonte immagine: PxHere


    Articolo pubblicato anche su ATTIVISMO.INFO


    La pensata della Lega sulle quote di “musica italiana” che andrebbero trasmesse in radio è l’ultima trovata elettoral-populista di una politica interessata alla continua distrazione dai problemi fondamentali della nostra democrazia e del vivere quotidiano.

    Problemi che, ricordo in sintesi, derivano tutti dalla costante perdita delle sovranità degli Stati Nazionali e dello Stato di diritto più in generale, nei confronti di un sistema di logge e corporazioni globali capaci di corrompere la politica, i luoghi della democrazia ed i poteri dello Stato.

    Non bastavano a distrarre i migranti, la molto più seria “secessione soft” di questi giorni o le “diatribe” interne di un governo che guarda sempre più alle elezioni.

    Elezioni che, è bene ricordare, ci regaleranno un’Europa più coesa: quegli USE da gettare in sostegno al confronto globale USA/resto del mondo ed a cui offriremo le residue, ormai insignificanti, sovranità legislative della Repubblica.

    Non paghi delle brutture del recente Sanremo, con il fenomeno “trap” evidentemente da sdoganare al grande pubblico, il sistema distraente politico-mediatico centra quindi sulla “musica” un nuovo focus.

    Anche se penso che il pop odierno sia abbastanza lontano da ciò che fino a pochi decenni fa potevamo ancora chiamare “arte”, non credo che la politica debba entrare in questo modo e delimitare i residui, effimeri spazi di libertà del pubblico, pur ormai soggiogato ai poteri ed ai gusti imposti delle corporazioni.

    Il problema si guarda male da tutte le angolazioni.

    Se parliamo di “musica italiana” ne resta ben poca da un pezzo: la globalizzazione dei consumi e dei processi formativi permessa dalla tecnica ha ormai appiattito l’offerta musicale per creare un unico, immenso mercato da poter controllare e gestire a piacimento delle major discografiche.

    Le armonie sono ormai soggiogate a ritmiche invariabili che appiattiscono tutto, per non parlare delle melodie: minimali e banali per un cantato “parlato” o strillato o quasi del tutto assente per dar spazio al cosiddetto Hip hop, un fenomeno più culturale che musicale, dove la “musica” è minimale, tribale, monotona.

    E non parliamo dei “valori” che vengono spacciati ai nostri giovani, per capirlo basta leggere i testi di molta “musica” che ascoltano: droga, sesso, denaro, consumo, alienazioni varie, punto.

    Il pop moderno quindi è pieno di brutte, minime melodie, strillate a squarciagola o “mal cantate”, condite sempre più spesso da un qualcosa di Hip hop per cambiare un po’ aria. Fine.

    Basta ascoltare qualche pezzo dei Beatles per capire immediatamente le ricchezze ritmico-armonico-melodiche e di arrangiamento perdute sulla strada del massimo guadagno globale, per una platea di musicisti/fruitori musicalmente sempre più ignorante.

    Rivendicare percentuali di musica “nostrana” in questo panorama fa quindi sorridere, considerando anche il fatto che i grandi distributori, le major, sono colossi multinazionali.

    Una politica veramente “sovrana” dovrebbe occuparsi di ben altre questioni e finanziare alla grande scuola e cultura, per far capire alle nuove generazioni cosa stanno perdendo in questo mondo gestito dalla tecnica e da chi la controlla.

    Una visione scolastica in cui si torni a considerare la cultura umanistica, filosofica, letteraria e artistica in modo da bilanciare il tecnicismo imperante dovrebbe essere fra le priorità di una politica che pretenda di servire veramente il Paese.

    Nuove generazioni in grado di apprezzare aspetti culturali e artistici oggi sacrificati sull’altare della “scienza”, dell’automazione e del lavoro precario, rimetterebbero immediatamente a posto le sorti culturali del Paese.

    Si potrebbe così ristabilire una nuova disponibilità intellettuale a pensare con la propria testa, per non farsi colonizzare da fenomeni commerciali globali che con l’arte hanno ben poco a che vedere.

    Non dobbiamo dimenticare che al potere globale delle corporazioni non interessa solo guadagnare il più possibile, sbagliamo se vediamo il problema da un punto di vista esclusivamente economico da regolare con leggi e tasse.

    Il sistema tecnocratico ama il controllo, il consenso al suo dominio: il guadagno indotto dalla cultura del consumo è funzionale al controllo stesso, cosa assai facilitata se le persone vedono restringersi il proprio orizzonte culturale e di pensiero.

    La circolazione “ordinata” di uomini ed elementi culturali non dovrebbe essere quindi interrotta, l’umanità ha sempre trovato fecondi i periodi di convivenza pacifica di culture e le conseguenti sintesi.

    È la circolazione di capitali e della finanza globale il vero problema: sta distruggendo economie e sistemi democratici con la complicità di una politica corrotta e di un sistema mediatico ormai padrone nell’indirizzare i fenomeni suddetti ed i nostri pensieri.

    Il mio invito è perciò quello di riflettere e analizzare quanto il sistema politica-spettacolo ci propina partendo da un processo di auto-analisi, che investa anche i nostri gusti e desideri, le nostre vere inclinazioni, i sogni perduti/sacrificati al consumo e alla “sopravvivenza” di ogni giorno.

    Non ci libereremo senza un atto di volontà consapevole, anche culturale.





    18 febbraio 2019


    Edited by massimofranceschini - 4/1/2020, 11:43
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